Mozart e il violino è un tema affascinante e ricco di sfaccettature, esaminato tra l’altro di recente da Cesare Fertonani in un bel libro dal titolo malizioso L’amerò, sarò incostante. Il riferimento è alla celebre aria di Aminta nel Re pastore, una serenata teatrale scritta da Mozart a Salisburgo nel 1775. Il titolo vero naturalmente è L’amerò, sarò costante, ma l’autore rovescia l’aggettivo per mettere in rilievo il rapporto controverso di Mozart con questo strumento. Aminta è un pastore e vorrebbe rimanere tale, malgrado il conquistatore Alessandro Magno abbia deciso di designarlo a reggere il trono di Sidone. Il piano prevede che Aminta sposi la figlia del deposto tiranno, Tamiri, benché egli sia innamorato di Elisa: il suo cuore è indeciso tra la fedeltà e l’obbedienza ad Alessandro. Il meraviglioso Rondo con violino obbligato è uno dei tanti momenti genialmente ambigui del teatro di Mozart, perché Aminta esprime in realtà non il suo amore per Elisa, bensì la virtuosa promessa di amare e onorare la sposa scelta per lui dalla ragion di stato, ed è lo struggente lirismo del violino a rivelare qual è la vera natura del suo cuore.
Il violino ha tanti volti per Mozart. Il primo è quello di suo padre, Leopold, che aveva costruito tutta la sua carriera attorno a questo strumento. Quando Mozart viene al mondo, Leopold sta dando gli ultimi ritocchi al suo lavoro più celebre, il Metodo per violino. Tutta l’esistenza di Mozart, finché rimane a Salisburgo sotto l’egida paterna, è marcata da questo segno premonitore. La sua abilità come violinista non è inferiore al virtuosismo pianistico, e la serie di Concerti scritti tra il 1773 e il 1776 è la miglior testimonianza del suo talento con l’archetto. Un altro volto è quello lungo e ossuto del Principe Arcivescovo di Salisburgo, il conte Colloredo, che pretendeva di tenerlo legato alla sedia di primo violino dell’orchestra di corte. Mozart aveva ben altre ambizioni che consumare la vita come suo padre, in mezzo a musicisti invidiosi e mediocri e finì per provare disgusto per lo strumento che gli dava lo stipendio. Infine la sagoma del violino si sovrappone alla maschera funebre della madre, nell’estate più triste della sua vita, a Parigi, senza soldi e senza speranze per il futuro. Al ritorno a Salisburgo, in una casa ormai silenziosa e spogliata del buonumore della madre Maria Anna, Mozart scrive il suo capolavoro per il violino, in coppia con la melancolica viola, la Sinfonia concertante.
Il mesto Andante in do minore, esprime il groviglio di delusioni e di dolori sofferti nella sfortunata tournée dell’anno prima: la più cocente sconfitta umana e artistica della sua vita. Due violiniste, nel pieno della loro fulgente maturità artistica, vengono a raccontarci questo mondo ricco di luci e ombre. Isabelle Faust sembra nata sotto il segno di Mozart. Il suo primo concorso internazionale, vinto a man bassa a soli 15 anni, era intitolato proprio a Leopold, che evidentemente l’ha ispirata nello studio fino a condurla a conquistare il primo premio al “Paganini” di Genova nel 1993. Inoltre, Claudio Abbado l’ha voluta con sé fin dagli inizi della sua ultima impresa musicale, l’Orchestra Mozart. Dove c’è Mozart, in genere c’è anche Isabelle Faust, che vanta anche un’integrale discografica mozartiana, con i 5 Concerti e altri lavori di carattere concertante.
Sonig Tchakerian, nome armeno ma vita italianissima, ha invece legato di più il suo nome ad autori come Bach e Paganini, ma porta nel mondo di Mozart la luce e il calore dell’anima mediterranea. L’illuminista Isabelle suona con l’impeccabile Orchestra of the Age of Enlightenment, la Fiordiligi Sonig con l’Orchestra da camera di Mantova, stile viennese e cuore italiano fino al midollo. Saranno due interpretazioni diverse, ma entrambe vive e autentiche, una sintesi perfetta del mondo di Mozart. (articolo di Oreste Bossini)
{Originale su www.sistemamusica.it }
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