Maestro Pace, nel 2006 è iniziato il suo sodalizio con il violinista Leonidas Kavakos. Quali sono le caratteristiche umane e artistiche che rendono così duratura la vostra collaborazione?
In realtà ci eravamo già incontrati musicalmente nel 1999 ad un festival, suonando il Doppio concerto di Mendelssohn per pianoforte, violino e archi: penso che ci accomuni sia l’attenzione al raggiungimento di un comune fraseggio sia la volontà di rendere organici anche i più piccoli dettagli della partitura, oltre a un’ottima intesa umana.

Maestro Pace, insieme a Leonidas Kavakos a Torino eseguirete brani di Brahms, Skalkottas ed Enescu. C’è un filo conduttore che lega i pezzi in programma? Se dovesse esprimere una preferenza, a quale brano andrebbe e perché?
L’elemento comune è l’uso di temi folkloristici dei quali fanno ampio uso sia Enescu sia Skalkottas (e certo anche Brahms, anche se non in maniera così evidente in questa Sonata). Skalkottas è stato per me una scoperta, in quanto, dopo aver superato una certa ostilità della scrittura pianistica, si scopre un mondo di grande forza espressiva e ritmica, celato dietro al linguaggio seriale. Anche la Terza sonata di Enescu evoca un’atmosfera popolare e deve apparire quasi come improvvisata al momento, anche se in realtà ogni minimo dettaglio di espressione è minuziosamente scritto nella partitura. È sempre difficile esprimere preferenze, generalmente il favorito è quello che si suona al momento!

Secondo lei come cambia l’ascolto (e l’interpretazione) della musica classica nell’era digitale, in cui la fruizione dei contenuti è estremamente veloce? Ha ancora senso l’ascolto di un concerto dal vivo?
Credo che, nonostante ci sia la possibilità di ascoltare praticamente tutto online, il momento unico, l’atmosfera di coesione sociale che si crea in un evento dal vivo, la vibrazione sonora dello strumento che arriva direttamente all’orecchio, facciano sì che le persone cerchino ancora esperienze che lascino il ricordo di un’emozione profonda e condivisa. Non penso quindi che il concerto sia destinato a scomparire a breve, come non mi sembra che la frammentazione della capacità di attenzione tipica di questo periodo abbia colpito i musicisti e quindi modificato le interpretazioni. Senza concentrazione univoca nessun risultato apprezzabile è possibile, secondo me.

Conservatori, licei musicali, scuole medie musicali, liceo coreutico-musicale. Contrariamente a quanto si dice, nel nostro Paese sembra che la musica classica non sia così assente nel panorama formativo ufficiale, tuttavia più il tempo passa e più ci si lamenta che le istituzioni non fanno nulla per colmare il divario tra musica colta e pubblico. Qual è la sua opinione in merito?
Penso che si stia cercando una formula per rendere la musica parte integrante della formazione, sebbene in molti di questi istituti le ore dedicate allo strumento non siano sufficienti a una preparazione professionale. Nel caso dei Conservatori, la riforma, equiparandoli all’Università, li ha improvvisamente privati degli allievi dai 10 ai 18 anni, periodo più importante per la formazione di uno strumentista. Si è cercato dunque in alcune sedi di rimediare con corsi pre-accademici, che sono però rimasti in un limbo legislativo. In generale noto che dove ci siano iniziative dei singoli enti, come il Progetto mentore a Rimini, in cui un adulto introduce un giovane ai concerti offrendogli un abbonamento, o il Lauter a Ferrara, dove la musica va nelle scuole e le scuole partecipano attivamente all’organizzazione dei concerti, l’interesse delle giovani generazioni sia grande e si possa contare su un ricambio generazionale. Creando stimoli, curiosità intellettuale, varietà di programmazione e di generi penso si possano continuare ad avvicinare sempre nuovi ascoltatori.

Intervista raccolta da Laura Brucalassi per l’Unione Musicale

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