Come è nato lo spettacolo Un viaggio a piedi nudi?
Debora Mancini: «Da un invito di Nicola Campogrande, direttore artistico di MITO SettembreMusica, a sviluppare, per l’edizione 2018 del Festival, uno spettacolo musicale dedicato alla danza. Da lì si è sviluppata l’idea, condivisa prima con Daniele Longo poi con Aurelia Pini e gli altri artisti, di mettere in scena la danza in musica. Siamo partiti dalla riflessione che i musicisti, quando suonano, in qualche modo “danzano”: sul ritmo del loro respiro e del battito del loro cuore, prima di tutto, e poi, naturalmente, sul ritmo dei brani che eseguono. Le danze, come forma musicale, occupano una grande fetta del patrimonio musicale che abbiamo a disposizione. La musica popolare è ricca e preziosa di danze che sono state poi trascritte o composte da autori di diversi generi musicali.
Inoltre la danza a piedi nudi è quella che ci interessava, quella che viene dal contatto con la terra, con i ritmi ancestrali, col rapporto corpo-natura. E i bambini, che non hanno scudi o sovrastrutture, spesso amano danzare a piedi nudi, in stretta connessione con la Natura. Ci siamo domandati come unire tutto questo. Per me la risposta era nel cuore: con un viaggio. Il viaggio come metafora della vita, della scoperta di sé, simile a una danza su una partitura di emozioni e passioni, attraverso una storia intima di sorellanza».
Chi sono Emma e Matilde ?
Lara Quaglia: «Emma e Matilde sono due sorelle, una più grande l’altra piccola piccola, appena arrivata. Anzi, all’inizio è solo un pensiero, un’attesa, qualcosa che si aspetta con trepidazione…
Sono due persone che si incontrano e si scoprono piano piano, hanno caratteri e fisicità diversi, ma nel viaggio della crescita, attraverso il gioco, la scoperta, gli inciampi, le paure e le gioie, saranno sempre più vicine, amiche, complici, sorelle. Restando comunque diverse e uniche».
Come vengono rappresentate in scena?
Lara Quaglia: «Direi che sono rappresentate attraverso quello che fanno, tramite l’azione e la reazione agli accadimenti, alle prove, alle scoperte che questo viaggio a piedi nudi mette loro di fronte. Attraverso il gioco e il divertimento, sono due personaggi buffi e giocosi, proprio come lo sono i bambini…»
Qual è il significato del loro viaggio?
Aurelia Pini: «Il loro viaggio è un percorso di crescita che tutti i piccoli affrontano per diventare grandi. Racconta un pezzo di quel lungo percorso sensibile che presenta ostacoli, conflitti relazionali con l’adulto, i pari e le regole. Un viaggio verso l’affermazione di sé e l’accettazione dell’altro, attraverso il gioco, la complicità nel creare un mondo altro, fantastico, poetico, dove si possono giocare tutti i ruoli possibili, dove si trovano risposte agli accadimenti. Le emozioni hanno un nome, una forma, una musica.
Un viaggio dove l’altro è indispensabile, è un compagno irrinunciabile, è importante nel grande gioco della vita».
Che ruolo ha la musica nello spettacolo e in che modo i musicisti interagiscono con le protagoniste della storia?
Daniele Longo: «La musica è al contempo manifestazione delle emozioni che i personaggi vivono e stimolo, motore delle azioni sceniche. Nel trattamento abbiamo cercato realizzare una forma di “interplay jazzistico”, ovvero di dialogo vivo fra musicisti e attrici, seppure in un contesto in cui il repertorio è principalmente di musica classica, colta. Si tratta però di brani la cui ispirazione, in molti casi, proviene dalle tradizioni popolari, come ad esempio le Danze rumene di Bartók. Sotto un certo punto di vista quindi, l’approccio sul palco è “Interattivo”, ovvero i movimenti e le azioni compiute dalle attrici sono uno stimolo per noi musicisti e viceversa; e questo senza stravolgere la natura originaria della musica scritta, ma cercando di renderla viva, come quando è nata dall’ispirazione dei compositori».
Mettere in scena la musica aiuta ad ascoltarla meglio? O, viceversa, la musica permette di raccontare in maniera più avvincente (o più efficace) una storia?
Mario Marzi: «La musica è di per sé un’arte che si regge sulle proprie gambe… l’idea di unirla a un contesto teatrale a volte può essere rischioso… detto questo quando si cerca un’unione delle diverse esperienze artistiche per trovare la bellezza e amplificare le emozioni si è già vinto… il rischio poi fa parte del nostro cammino (a piedi nudi). L’artista che non rischia non è tale, altrimenti meglio cambiare mestiere.
Nel nostro caso ritengo vi sia un buon interplay e penso che siamo riusciti a valorizzare entrambe le cose; la musica permette di sottolineare meglio la narrazione e al contempo l’azione scenica amplifica il messaggio musicale».
Intervista raccolta da Gabriella Gallafrio per l’Unione Musicale