Reduce dal successo teatrale di Amadeus di Peter Shaffer, dove interpretava Salieri (regia di Alberto Giusta), Tullio Solenghi incontra di nuovo Wolfgang Amade, insieme al Trio d’archi di Firenze, in uno spettacolo tra parole e musiche.
Chi è Mozart per Tullio Solenghi e chi è Tullio Solenghi per Mozart?
«Mi basterebbe girargli le pagine dello spartito!!! Per me Mozart e la quintessenza del genio senza retorica, senza ortodossia. E una personalità affascinante, anche dal punto di vista del mio mestiere, per la sua capacita di conservare l’elemento fanciullesco, di sapersi muovere tra il mondo del sublime e quello del saltimbanco. E per l’ironia, un atteggiamento importante per ogni artista. Per quanto mi riguarda, non amo la schizofrenia tra vita e scena, e non credo al cliché del comico che nel privato e triste, serioso. Mi piace essere solare e ironico anche nel privato. L’ironia e una condizione esistenziale fondamentale».
Il Divertimento K. 563, nato nell’ultimo periodo, è opera di straripante bellezza. C’è tutto: il cesello classico, l’elemento popolare e l’ironia. Come è nato il progetto con il Trio di Firenze?
«Diciamo che ero sulla strada giusta. Ho ricevuto la proposta da Patrizia Bettotti (violino del Trio) dopo il successo di Amadeus di Peter Shaffer, e cosi ho ripercorso un mondo già molto masticato, e amato. Guardiamo a Mozart attraverso le lettere, scritte da lui o a lui, dal padre, soprattutto, e da chi ne ha incrociato l’esistenza. Le abbiamo suddivise tra i vari movimenti, ogni blocco fotografa un aspetto della sua vita: il bambino prodigio, il successo, gli amori, il declino, la morte, la tumulazione. Ci sono luci e ombre, si ride e ci si commuove, con momenti da groppo alla gola, come il racconto della cognata Josepha Weber, e momenti in cui Wolfgang fa il villanzone, con le sue “trasgressioni scatologiche”. Il sublime e il volgare, tutto».
Che cos’è un trio d’archi, per un artista che molto ha lavorato in trio (gli amatissimi Solenghi, Marchesini, Lopez)?
«Il trio d’archi ha tre timbri, violino, viola, violoncello, che suonano la stessa musica: diversita e complicita, com’era anche per noi. Sono tre strumenti protagonisti, nessuno accompagna soltanto, ma tutti hanno dei primi piani. Cosi per noi, con una fedelta scientifica alla scrittura, quasi maniacale. Ognuno aveva un ruolo, ma la partitura poi sembrava nascere sulla scena». (Articolo di Monica Luccisano)
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