Lei ha iniziato a suonare prestissimo, a soli tre anni, che ricordi ha della sua infanzia in compagnia della musica?
Ho iniziato a suonare un pianoforte giocattolo a due anni e poi il vero pianoforte quando ne avevo tre. Mia madre è stata la prima insegnante e ovviamente facevamo lezione ogni giorno. Suonare il pianoforte è sempre stata per me fonte di gioia; la musica, a casa nostra, faceva parte della vita di tutti i giorni e suonare era una cosa naturale: tutto ciò è stato davvero fantastico! Mio padre era organista alla Cattedrale di Ottawa così, fin da quando ero bambina, l’ho sentito suonare tutte le grandi opere per organo; era anche un ottimo improvvisatore. Inoltre da bambina ho studiato danza classica, dall’età di tre anni, suonato il violino e il flauto dolce, cantato, ballato danze scozzesi e frequentato come tutti i bambini una normale scuola. È stato bello poter avere un’educazione così completa. Quando avevo quindici anni, ho iniziato a studiare con il pianista francese Jean-Paul Sevilla che mi ha spalancato l’intero mondo del repertorio per pianoforte. Fu allora che capii che avrei dovuto abbandonare le altre attività e concentrarmi sul pianoforte, verso il quale fin dall’inizio avevo dimostrato le mie migliori attitudini.
Oggi è una delle più apprezzate interpreti bachiane, come si è avvicinata a questo autore e che cosa le ha regalato questa full immersion nella sua opera?
Mio padre suonava tutte le grandi opere bachiane per organo e non c’è modo migliore per conoscere la musica di Bach se non attraverso questo strumento. Egli mi ha così trasmesso il suo amore per questo compositore fin da quando ero piccola ma posso dire che entrambi i genitori mi hanno sempre insegnato Bach nel modo corretto e questa è stata una vera fortuna per me! In seguito, anche tutti i miei insegnanti di pianoforte hanno sottolineato l’importanza di studiare la musica di Bach per tastiera. Così, ho dedicato a questo autore molto lavoro, per tutta la vita e senza sosta. Ci vuole pazienza, diligenza, intelligenza e molto coraggio! Ma le gratificazioni sono immense: non c’è musica più grande e il contenuto emotivo è di altissimo livello.
A Torino eseguirà le Variazioni Goldberg, come affronta quest’opera monumentale e cosa consiglia al pubblico che si appresta, magari per la prima volta, ad ascoltarle?
Interpreto le Variazioni Goldberg fin da quando avevo sedici anni: tantissimo tempo, oltre quarantanni! Sono state mie costanti compagne nella vita e si sono trasformate e modificate insieme a me. Penso siano uno dei brani musicali più commoventi mai stati scritti. Questo tema molto semplice – una nobile sarabanda scritta per la moglie di Bach, Anna Magdalena, – che riappare alla fine, dopo un lungo viaggio attraverso le trenta variazioni effettuate sulla sua base armonica, ci dona un senso di completezza che è simile a un’esperienza spirituale. Penso che chi le ascolta per la prima volta deve solo lasciarsi andare e cercare la bellezza, in sé e per se stesso. Ovviamente si possono apprezzare secondo molti livelli, ma non è necessaria un’educazione musicale per essere colpiti dalla loro bellezza e per lasciarsi sorprendere da ciò che Bach richiede all’interprete, sia emotivamente sia tecnicamente.
Dopo quasi trecento anni, cos’è che piace ancora tanto, e anche ai giovani, di Bach?
La freschezza della musica. E poi la sua vitalità, la gioia, i ritmi forti, le belle melodie, le grandi armonie. Tutto! C’è una varietà così immensa nella sua musica, così tanto significato che, se anche fosse vissuto per due vite, non sarebbe certamente rimasto senza idee. I ritmi di danza del periodo barocco su cui si basa la sua musica conferiscono a essa una grande gioia e la forza del suo personaggio è qualcosa che si riflette in ogni nota che ha scritto.
Come cambia l’ascolto (e l’interpretazione) della musica classica nell’era digitale, in cui la fruizione dei contenuti è estremamente veloce? Ha ancora senso l’ascolto di un concerto dal vivo?
Penso sia più importante che mai per le persone andare ai concerti. In questo modo possono rimanere immobili per alcune ore e ascoltare qualcosa senza interruzioni, essere trasportate non solo dalla musica ma dall’intera esperienza di trovarsi in una sala da concerto insieme ad altre persone che, anche loro, ascoltano attentamente. Ovviamente è anche un “lavoro” per il pubblico: più sei attento, più ne uscirai soddisfatto. Ma questo è il bello! Vedere un artista esibirsi dal vivo è molto meglio che ascoltare semplicemente una breve traccia da una playlist che non ha un contesto.
Intervista raccolta da Gabriella Gallafrio per l’Unione Musicale
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