Leonor de Lera, lei ha collaborato con tantissimi prestigiosi ensemble di musica barocca. Che cosa desiderava di diverso e speciale quando ha fondato L’Estro d’Orfeo?
«La mia più grande passione nell’ambito della musica antica e del repertorio barocco è sempre stata la musica italiana dell’inizio del diciassettesimo secolo. Fin da quando ho iniziato la mia formazione come violinista barocca ho sentito un legame molto forte e speciale con questo repertorio: era come se fosse una lingua per me molto familiare. Oggi tuttavia è raro trovare ensemble specializzati in questo tipo di musica (in particolare ensemble di strumenti ad arco) e alla fine, purtroppo, resta un repertorio poco eseguito. Sapevo che l’unico modo per suonarlo era formare un mio ensemble! Penso che questo repertorio non stia ricevendo tutta l’attenzione che merita! Rimanesullo sfondo e all’ombra della musica di compositori successivi come Vivaldi, Händel e Bach (per fare l’esempio più ovvio), quando in realtà rappresenta un momento cruciale per la storia della musica strumentale: segna infatti l’inizio di un processo di emancipazione, in cui gli strumenti cessano di essere utilizzati esclusivamente come accompagnamento alla voce umana, per guadagnare progressivamente importanza. Come conseguenza di questo processo sono nate nuove forme musicali espressamente strumentali, che esploravano le possibilità offerte da ogni strumento, andando oltre i limiti tecnici e portando alla nascita del virtuosismo strumentale. Il mio desiderio con L’Estro d’Orfeo è di far conoscere questo meraviglioso repertorio al pubblico e renderlo presente nelle stagioni concertistiche».

 L’Estro d’Orfeo debutta all’Unione Musicale con un programma raffinato, incentrato sulle reciproche influenze musicali tra compositori italiani e spagnoli. Ci racconta come è nata l’ideazione di questo programma?
«Essendo io una spagnola specializzata nel repertorio italiano, mi è sembrato appropriato presentare un programma con musica di entrambe le nazioni. Mi è piaciuta anche l’idea di enfatizzare il “movimento” internazionale che era consueto e del tutto normale per i musicisti del XVII secolo e che fa parte della mia stessa esperienza personale: viaggiare o stabilirmi in un altro paese, sia per studiare e imparare sia per lavorare, per un breve o per un lungo periodo di tempo, raccogliere le influenze che tutto ciò comporta e trasferirle nella musica e nel modo in cui viene suonata.
Questo inoltre è il programma perfetto per includere la musica di tre compositori fantastici e molto diversi: Antonio Pandolfi Mealli, Andrea Falconiero e Bartolomé de Selma y Salaverde! »

Il programma del concerto riflette un po’ anche la sua esperienza biografica, tra Italia e Spagna…  Che cosa si porta dietro delle due esperienze? Oggi si riscontrano ancora delle differenze di approccio alla musica tra Italia e Spagna?
«Sì, come ho detto prima, il programma riflette la mia esperienza e il mio legame con questi due paesi. Quello che sono stata in grado di osservare è che per molti aspetti gli spagnoli e gli italiani sono abbastanza simili, ma allo stesso tempo ognuno di noi ha caratteristiche particolari che ci differenziano dall’altro. Questo ovviamente si riflette nella musica di queste due nazioni (anche se succede davvero a tutti): ognuno ha il suo stile e il suo modo di avvicinarsi o interpretare il repertorio barocco. Penso comunque che un musicista sia definito tanto dal paese di origine, quanto piuttosto dalla scuola o dal maestro con cui si è formato».

C’è un brano tra quelli presenti in programma che ama particolarmente? Perché?
«Devo dire che mi piacciono tutti i brani in programma, ma c’è un brano che ha un significato speciale per me: la Sonata “La Cesta” di Pandolfi Mealli. Oltre ad essere un’opera musicalmente meravigliosa, è una delle prime opere del Seicento italiano che ho suonato quando ho iniziato i miei studi sul violino barocco. Ricordo di aver sentito e aver pensato: “Questa è la mia lingua” ed è stato il brano che mi ha fatto decidere che mi sarei specializzata in questo repertorio».

Oggi ci sembra di riscontrare un forte ritorno di interesse verso il repertorio barocco da parte di molti giovani interpreti e ascoltatori. Come spiega questo fenomeno?
«La porta sul mondo della musica barocca è stata aperta grazie a tutte le ricerche, il recupero e l’esecuzione della musica antica realizzati dalle generazioni di musicisti precedenti alla mia. I musicisti dalla mia generazione in poi hanno avuto la grande fortuna di potersi formare e studiare musica antica in scuole che avevano già attivato dipartimenti dedicati ad essa. Maggiore è il numero di esecutori di musica barocca, più questo repertorio viene ascoltato nelle sale da concerto, e più si allarga il pubblico appassionato e il numero di giovani musicisti che a loro volta vogliono specializzarsi in questo repertorio. È l’effetto onda che si ottiene quando si lancia un sasso nell’acqua!»

Intervista raccolta da Laura Brucalassi per l’Unione Musicale