Il programma del concerto di Torino prevede l’esecuzione di una nuova composizione di Matteo Manzitti. Come è nata la collaborazione con questo giovane compositore italiano?
La collaborazione è nata da una commissione dell’Accademia Filarmonica Romana per il loro ciclo dell’integrale delle Sonate di Beethoven in cui ad ogni concerto viene presentato un nuovo brano scritto per l’occasione. Mi hanno permesso di esprimere delle preferenze sul compositore e la mia scelta è andata su Manzitti, che avevo incontrato brevemente in passato e di cui avevo ascoltato diversi lavori che mi avevano interessato e incuriosito: ho trovato la sua musica molto espressiva e comunicativa.

Come si inserisce questo brano contemporaneo nel resto del programma tutto dedicato a Beethoven?
Essendo stato concepito per un programma “tutto Beethoven” il brano di Manzitti ha alcuni elementi che lo integrano perfettamente con gli altri lavori, in particolare dal punto di vista della ricerca formale e dell’elemento tematico iniziale (l’intervallo e il ritmo) che rimanda al gesto di apertura della beethoveniana op. 106.

Il suo primo concerto in una stagione dell’Unione Musicale risale al 2006 e poi ne sono seguiti altri… che cosa rappresenta ogni volta tornare nella sua Torino, tra il pubblico che l’ha vista crescere e maturare professionalmente?
È ovviamente una grande emozione, sono cresciuto andando ai concerti dell’Unione Musicale, sin da bambino, e fare adesso parte della programmazione mi fa enormemente piacere. L’Unione Musicale e il suo pubblico mi hanno sempre sostenuto, sin dall’inizio, e ho un forte debito di gratitudine con entrambi per l’affetto ricevuto; tornare è sempre un momento di gioia nel ritrovare gli amici e di “verifica” del mio percorso: mi permette di ripercorrerlo dall’inizio e di vedere dove mi sta portando.

In quest’epoca dominata dall’invasione della tecnologia e dalla velocità di fruizione che essa comporta, come cambia il modo di ascoltare la musica e di interpretarla?
Di certo cambia la facilità con cui si ha accesso a qualsiasi incisione e concerto live trasmesso in diretta o riproposto sul web. Dal punto di vista personale e da quello di uno studente, mi sembra positivo perché la quantità d’informazioni è enormemente più varia e a portata di mano. Non so se questo cambia il modo d’interpretare, certo influenza molto l’aspetto più visivo del concerto (la gestualità, forse persino la scelta dell’abbigliamento…) che mi sembra sia preso in considerazione da molti artisti più che in passato. Sapere che praticamente ogni volta che si suona si sarà ripresi e/o fotografati, e che video e foto saranno accessibili nell’immediato a chiunque li voglia vedere e in qualsiasi Paese, cambia necessariamente l’impressione che si ha durante il concerto. Forse oggi si suona, più o meno inconsciamente, anche per tutto il mondo fuori dalla sala da concerto che diventa un potenziale osservatore di quello che accade dentro. Il rapporto con il pubblico in sala è meno esclusivo, in un certo senso, ma non per questo meno intenso o meno necessario: la musica rimane un’esperienza da vivere dal vivo.

Cosa direbbe a un suo coetaneo se dovesse convincerlo a comprare un biglietto per un concerto di musica classica?
Direi che la musica classica parla a chiunque, anche a chi non la conosce, e che non esclude ascoltare e amare altri generi di musica, anzi è soltanto un elemento in più per poter conoscere se stessi e il mondo, per poter esprimere le proprie emozioni, che è ciò che l’arte e gli artisti ci permettono di fare attraverso il loro lavoro. La complessità apparente rappresenta in realtà la possibilità di esprimere emozioni più complesse anche solo da semplice fruitore: questa è una ricchezza enorme, per chi la vuole ricevere, basta sedersi e ascoltare.

In base alla sua esperienza personale, cosa si sente di consigliare oggi a un giovane che si affaccia alla carriera musicale in Italia?
Di essere curiosi e non aspettarsi che le cose succedano da sole ma di avere il coraggio di provocarle o andarle a cercare, ovviamente anche di esplorare quello che il mondo ha da offrire fuori dai confini nazionali, ma senza l’idea che sia necessariamente meglio, soltanto diverso. In generale ai più giovani e ai miei allievi direi di guardare agli altri, ma senza volerli imitare e senza preoccuparsene, e di lavorare sulla propria crescita musicale e umana, con pazienza e creando basi solide, cercando di non stare chiusi in casa ma confrontandosi sempre, anche con chi la pensa diversamente.

Intervista raccolta da Gabriella Gallafrio per l’Unione Musicale