Risponde il direttore artistico dei solisti Aquilani, Maurizio Cocciolito.
Come è cambiata la vostra attività dopo il terremoto dell’Aquila del 2009?
È cambiata come è cambiata la vita di tutti, dopo quella terribile notte. Niente è stato più come prima, dalle semplici azioni del vivere quotidiano alle attività lavorative. I Solisti Aquilani hanno, tra le proprie specificità, la promozione e la valorizzazione del territorio che li rappresenta e che loro si sentono di rappresentare. Il terremoto del 2009 ha di fatto radicalizzato quella che era già una peculiarità, trasformando un proposito e un obiettivo in una missione. Non si è trattato più, solamente, di rappresentare una città e la sua provincia ma, operazione ben più complessa e necessaria, di aiutare questo territorio a recuperare una identità resa fragile e precaria, rafforzare il senso di appartenenza, ritrovare la forza della serenità e del pensiero positivo. Tutto, inevitabilmente, attraverso la metabolizzazione del dolore e della paura.
In questa circostanza quale ruolo ha avuto la musica nei confronti della popolazione?
La musica ha avuto, come sempre peraltro, un ruolo fondamentale. Penetra senza forzare, entra naturalmente nei meandri più profondi dell’anima, tocca corde che nient’altro e nessun altro può raggiungere con così sorprendente e totale immediatezza. È però altrettanto evidente che non può trattarsi di espressioni estemporanee o risultato di una casualità non frutto di attenta programmazione. L’organizzazione dell’attività concertistica deve essere sempre, oggi più che mai, il risultato di un attento lavoro di analisi di tutte le motivazioni e di tutti gli obiettivi che si intendono perseguire e raggiungere. In questo caso, una così tragica circostanza, indelebilmente legata alla storia della città dell’Aquila, impone una lettura ancora più attenta e responsabile del proprio operato che, è evidente, non è più solo portatore di valori artistici. La musica diventa allora un mezzo quasi “salvifico” attraverso il quale ritrovare una identità, recuperare la storicità di una tradizione tra le più illustri di questo Paese, attualizzare linguaggi e comunicazione. Se la bellezza può salvare il mondo, la musica esprime, traduce la bellezza e può salvare gli animi lacerati, rimarginare le ferite più profonde rendendo più leggera il segno di ogni cicatrice. Quella purtroppo rimane, insieme al ricordo, alla memoria storica, ma può tradursi in forza rigenerata, orgoglio territoriale, senso di appartenenza. Può diventare persino nuova linfa vitale, ritrovata felicità. Con questo spirito I Solisti Aquilani lavorano in fondo da sempre, ancor di più in questi ultimi nove indimenticabili anni e credo di poter affermare che oggi rappresentano un modo nuovo di raccontare L’Aquila.
Nel 2018 festeggiate i 50 anni di fondazione. Qual è il bilancio della vostra attività e quali le iniziative per il futuro?
Oggi possiamo parlare, senza tema di smentite, di un bilancio davvero positivo. Il riposizionamento dei Solisti Aquilani in Italia e all’estero, con la presenza alle manifestazione delle più importanti società concertistiche e ai festival internazionali più prestigiosi, ne è l’esempio più lusinghiero e significativo. Per citarne alcune, e solo negli ultimi due anni, penso a città italiane emblema di musica e di cultura come Roma, Milano, Venezia, Napoli, Ravello, Genova, Palermo. All’estero, i Solisti hanno tenuto concerti a Berlino, Parigi, Strasburgo, Colonia, Dussendorf (anche in questo caso mi limito a ricordarne alcune) e sono stati ospiti ai Festival di Lubiana e di Bratislava. Una particolare attenzione è stata rivolta alle collaborazioni artistiche con personalità straordinarie come Mischa Maisky, Vladimir Ashkenazy, Shlomo Mintz, Salvatore Accardo, Dee Dee Bridgewater, John Malkovich. Collaborazioni che verranno intensificate e moltiplicate nel prossimo futuro: rinnovata per esempio la presenza dell’ensemble al Festival di Lubiana per il secondo anno consecutivo, e poi un nuovo progetto con Malkovich, una tournée in Russia, nei Paesi Bassi. Questi sono solo accenni delle attività future, progetti già definiti di cui è possibile dare notizia. C’è molto altro in preparazione grazie alla risonanza e alla affidabilità ormai solidamente internazionale dei Solisti Aquilani, di cui sempre più spesso si richiede la presenza e la partecipazione.
All’interno del programma che presentate a Torino c’è un brano al quale siete particolarmente affezionati? Perché?
Difficile rispondere a questa domanda perché ogni concerto è il punto di arrivo, il momento finale di un percorso che è sinonimo di riflessione e di attenzione a ogni aspetto che merita di essere considerato: il pubblico, il luogo, la circostanza, non ultimo il gruppo medesimo e la propria personalità in quel momento o in quel periodo della sua storia. Ecco perché ogni concerto è per i Solisti, prima di tutto, una emozione unica e irripetibile. Riferendosi al concerto di Alba, forse si può pensare al Concerto per violino, pianoforte e archi di Felix Mendelssohn-Bartholdy, spesso nei programmi dei Solisti Aquilani e molte volte proprio con Gabriele Pieranunzi, un amico prezioso oltreché uno straordinario violinista. Un capolavoro della musica ottocentesca, molto cara ai Solisti come questo Concerto che spesso compare nella loro programmazione. E ancora una volta, spero e credo, sarà una emozione da portare nel cuore e da ricordare ripensando ai Solisti Aquilani!
Intervista raccolta da Laura Brucalassi per l’Unione Musicale
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