Qual è stato (e qual è tuttora) il ruolo della musica nel suo sviluppo personale?
Ho sempre considerato la musica come un linguaggio, il veicolo di espressione di un messaggio. Come tale, il suo apprendimento ha richiesto molta disciplina e costanza, che si sono rivelate sicuramente qualità utili anche in altri ambiti. Al momento attuale penso che la musica, come anche le altre arti e le scienze, sia un continuo passaggio da una generazione all’altra. Come interprete, ho la fortuna di avere a che fare quotidianamente con opere di grande genio, e sicuramente questo è un forte stimolo alla fantasia, all’analisi, al pensiero.

Quando e perché ha scelto di diventare musicisti professionisti?
Penso sia una professione molto difficile da “scegliere”: se non si hanno concerti e pubblico, del resto, è difficile essere musicisti. Grazie alla vittoria del Concorso Honens, nel 2015, molte porte si sono aperte: opportunità di concerti sia in Europa sia in Nord America. Sicuramente non si può essere soli in questa professione, ma si ha bisogno di un “team” che renda il tutto possibile.

Alla luce della sua attuale carriera, quali tra gli insegnamenti ricevuti reputa siano stati più preziosi?
L’insegnamento più importante, per me, è sempre stato quello di essere coerenti e sinceri: sinceri verso il compositore, sinceri verso il pubblico, sinceri verso l’etica che questo lavoro richiede, sinceri verso se stessi. Ho sempre ritrovato questo nei miei insegnanti, ed è vero che quando si suona, si suona per come si è.

Secondo lei come è possibile attrarre pubblico giovane (suoi coetanei, per intenderci) alla musica classica?
A mio avviso non bisognerebbe cercare di edulcorare la musica classica e farla passare per ciò che non è, altrimenti è impossibile instaurare una passione o un attaccamento in chi non ce l’ha. La musica classica è tendenzialmente un linguaggio complesso, e come tale va presentato. Sicuramente anche noi interpreti dobbiamo venire incontro al pubblico, per esempio con modalità più interattive e comunicative, rispetto all’atteggiamento un po’ ieratico che ancora si vede. Il pubblico, ad esempio, adora quando l’interprete spiega o esplora i brani, o viene guidato a un ascolto più attento. Alla fine è anche una questione di opportunità, o di quanto una persona sia stata esposta all’ascolto della musica classica.

Che cosa le piace ascoltare?
Può sembrare un po’ paradossale, ma non mi capita spesso di ascoltare musica e di solito è sempre un multitasking abbastanza isterico (!). Di base mi piace molto ascoltare jazz anni Trenta, musica antica o cercare nuovi autori o musica contemporanea. Non sono un grande conoscitore di pop e spesso dimentico chi è chi o chi canta cosa!!

Intervista raccolta da Gabriella Gallafrio per l’Unione Musicale