Valerio Lisci, ci racconta quando e come è nata la sua passione per l’arpa?
«La mia passione è nata in un laboratorio musicale scolastico quando avevo otto anni. Avevo disegnato un’arpa e la maestra aprì un pianoforte verticale, mostrando le corde al suo interno, e disse: “sono parallele come quelle di un’arpa”. Fu amore a prima vista, tornai a casa dicendo che volevo suonare l’arpa anche se in realtà non ne avevo ancora vista una».
Che cosa ha rappresentato per lei l’affermazione in importanti concorsi internazionali, come nel 2019 la medaglia d’argento (e il premio speciale) alla prestigiosa Usa International Harp Competition? I concorsi restano fondamentali nella carriera di un giovane artista?
«Partecipare ai concorsi, prima ancora delle vittorie, ha sempre rappresentato un grande stimolo durante il mio percorso di formazione. Nel corso della mia carriera da studente avevo sempre un concorso da preparare, una scadenza per la quale bisognava aver pronto, a un certo livello, un particolare programma. I concorsi sono importanti per darsi obiettivi e spronano a studiare con maggiore determinazione a patto però che si prendano per quello che sono: giudizi di altri musicisti su come hai suonato quel giorno. È importante recepire i consigli e lavorare sugli errori commessi ma senza prendere nulla sul personale. Inoltre alcuni concorsi mi hanno permesso di entrare in contatto con alcune realtà musicali che non avrei mai incontrato, facendomi conoscere musicisti formidabili. Credo quindi siano un buon ingrediente per la crescita di un musicista».
Ci illustra il concerto “Viaggio in Europa”? Come sono stati scelti i vari brani che compongono il programma? C’è un filo rosso che li unisce?
«L’idea è quella di un viaggio musicale tra vari paesi dell’Europa, ma anche di un viaggio alla scoperta dell’arpa. Il pretesto nasce dalla figura del grande arpista ottocentesco Parish Alvars, uno dei primi concertisti, virtuosi di questo strumento, che viaggiò per tutta Europa incantando con il suo estro. Nei suoi concerti affascinò non solo il pubblico ma anche compositori ben noti, che forse proprio dalla sua musica ebbero poi l’ispirazione per comporre le loro pagine dedicate all’arpa. Il programma segue questo viaggio collegandosi a luoghi, personaggi e musiche che mostreranno l’arpa sotto molte luci diverse».
Ha realizzato lei le trascrizioni? Quali sono gli elementi di un brano che lo rendono adatto a una trascrizione?
«Non tutte! Solitamente mi sbizzarrisco nelle trascrizioni ma in questo caso ho scelto di rimanere nell’ambito classico dell’arpa, così che molti brani fanno parte del repertorio arpistico fin da quando ho memoria, come la Moldava o Asturias, o Le rossignol. L’unica trascrizione che ho personalmente realizzato è quella della Fantasia in re minore di Mozart.
Credo che una trascrizione abbia l’arduo compito di essere in equilibrio tra la fedeltà alla partitura originale e l’apertura mentale necessaria per poter realizzare qualcosa che sia più di una copia. Ci sono molti brani pianistici che semplicemente si infilano subito tra le dita di un arpista e altri che idealmente sembrerebbero perfetti ma poi hanno bisogno di piccoli cambiamenti».
Che effetto fa tornare a suonare a Torino, la sua città, dove è iniziato il suo bellissimo percorso?
«È bellissimo! Suonare sui palchi che hai guardato quando eri studente e mai avresti creduto di poterci arrivare è una grandissima emozione. Oltre al fatto che posso finalmente invitare a concerto tutti gli amici torinesi!»
Intervista raccolta da Gabriella Gallafrio per l’Unione Musicale