Come è nata l’esperienza di Armoniosa?
«Armoniosa nasce nel 2012 dall’esperienza artistica iniziata in seno alle attività culturali dell’Istituto Diocesano Liturgico-Musicale di Asti, per iniziativa dell’équipe artistica formata da Francesco e Stefano Cerrato, Marco Demaria e Daniele Ferretti. Abbiamo potuto coinvolgere in maniera regolare e continuativa il grande cembalista ed esperto del basso continuo Michele Barchi, che oggi fa parte stabilmente dell’équipe artistica. Le nostre esperienze professionali precedenti, anche molto lontane tra loro, hanno trovato una “culla” comune in Armoniosa, che prende vita e trae spunto dalle nostre peculiarità».
Qual è il vostro approccio interpretativo nei confronti della musica barocca?
«Abbiamo adottato da subito un metodo di lavoro rigoroso dal punto di vista stilistico e interpretativo. Le nostre sessioni di studio sono basate sulla tecnica di gruppo, sulla cura dell’intonazione e del ritmo, soprattutto per avere intenti e direzioni comuni nell’esecuzione. Avendo due strumenti a tastiera nella nostra formazione, clavicembalo e organo, cerchiamo la massima fusione sonora e l’intonazione, soprattutto avendo adottato un temperamento non equabile.
Nei confronti della partitura abbiamo sempre un approccio di grande rispetto di ciò che è scritto e di confronto con i trattati dell’epoca, che sono la nostra guida.
Certamente incontri eccellenti con artisti quali Reinhard Goebel e Trevor Pinnock sono un prezioso “bagaglio” per la nostra crescita artistica e il nostro approccio agli autori che affrontiamo. Questi grandi artisti ci hanno insegnato umiltà e rigore, uniti però sempre a personalità e passione, al “buon senso” nelle scelte stilistiche e alla tensione verso una perfezione tecnica asservita alla bellezza artistica, e non fine a se stessa».
Utilizzate anche strumenti d’epoca?
«Armoniosa suona esclusivamente con strumenti antichi, o copie fedelmente riprodotte secondo i canoni costruttivi del XVIII secolo».
Nel programma che presenterete a Torino emerge l’attenzione di Johann Sebastian Bach per il gusto italiano, molto in voga all’epoca. Possiamo dire che sia questo il filo rosso che unisce le opere in programma? Quali altri collegamenti avete individuato?
«In realtà crediamo che la grandezza di Johann Sebastian Bach stia nella sua umiltà, nel suo desiderio di imparare e ricercare in altri luoghi e presso altre culture e altri autori, lontani da lui. Bach compone in stile italiano, in stile francese (come ad esempio nelle Suite per clavicembalo) per fare sue queste forme, per renderle fruibili, domestiche, familiari. Con la sua padronanza della struttura musicale si concede completamente alla musica, e il filo rosso di questo programma sta proprio nella sua internazionalità».
Suonerete le opere di Bach nelle trascrizioni realizzate per voi da Michele Barchi, che rendono possibile al vostro gruppo interpretare anche pagine inizialmente pensate per altri organici. Ci raccontate il perché di questa scelta? Che caratteristiche hanno le trascrizioni?
«Il nostro gruppo nasce dal profondo legame di amicizia e di rispetto che ci unisce. Abbiamo quindi deciso di far prevalere la nostra unione personale e professionale sul resto, e proporre una prassi in realtà molto comune in epoca antica, ovvero quella di trascrivere opere per poterle far ascoltare. Lo fa Bach con Vivaldi, con Telemann e altri. Quindi, con grande rispetto delle partiture e grande sacrificio di studio per rendere efficacemente il senso delle musiche che eseguiamo, proviamo l’esperienza di tessere questi capolavori su di noi, come un vestito che facciamo nostro e mettiamo a disposizione del pubblico. Il nostro ensemble ha quindi una connotazione timbrica particolarmente curata, data anche dai nostri strumenti. L’organo e il clavicembalo sono pensati, costruiti e decorati da Michele Barchi, e i nostri strumenti ad arco, tra cui il violoncello a cinque corde, sono esplicitamente voluti per essere poliedrici e utilizzabili in tutte le loro potenzialità tecniche».
La musica antica richiama un pubblico di veri e propri fan. Come si può fare per avvicinare i giovani a questo tipo specifico di repertorio e attirarli a concerto?
«Questa è una domanda molto complessa! Non definiremmo come “vecchio” il pubblico della Musica Antica, tutt’altro… E non definiremmo la Musica Antica come “altra” rispetto al resto del panorama musicale. Facciamo nostra una definizione ascoltata in Germania: “Non esiste la Musica Antica, esiste solo la Buona Musica”. E allora il nostro unico modo per servire alla Musica, all’Arte e alla Bellezza è quello di eseguirla al meglio, studiarla, farla nostra e proporla in maniera convincente a chi ci ascolta. Il pubblico, anche il più profano, sente la differenza tra un concerto ben preparato e ben eseguito, e un concerto sciatto, poco studiato e poco padroneggiato dagli interpreti. I giovani purtroppo, in Italia soprattutto, vivono sulla loro pelle la distruzione di una buona proposta didattica musicale, che crea ignoranza e pregiudizio nei confronti della musica in generale. Certamente si inizia da lì, dalla scuola, ma si prosegue con l’ascolto. E una buona offerta concertistica, capillare e altamente professionale è necessaria per la divulgazione e l’entusiasmo nei confronti di un’arte meravigliosa, quale è la Musica. Noi cerchiamo di fare la nostra parte!»