Perché avete scelto il nome Karenine?
«Essendo tutti e tre molto appassionati di letteratura, cercavamo un nome che sottolineasse chiaramente questa passione comune. A quel tempo avevamo appena scoperto Tolstoj e i suoi ampi e generosi “studi” sulla natura umana… Sembrava allora molto naturale portare il nome del suo romanzo più famoso, non solo per la sua eroina, Anna, ma in omaggio alla sua scrittura in generale».

Il vostro debutto a Torino avviene con un programma che comprende opere di Schubert, Ravel e Schumann: c’è un fil rouge che collega le opere in programma?
«Si tratta di tre brani abbastanza maturi: il “Notturno” fa parte degli ultimi lavori di Schubert così come il secondo Trio di Schumann (op. 80) e il Trio con pianoforte di Ravel, che fu composto dopo il meraviglioso quartetto d’archi. In queste pagine si può apprezzare tutta l’abilità dei tre compositori; sono inoltre lavori che abbiamo suonato molto sin dalla fondazione del nostro ensemble ma che siamo sempre molto felici di condividere con il pubblico».

Se dovessi scegliere, qual è il tuo pezzo preferito tra quelli che eseguirai a Torino? Come mai?
«Ah! Questo tipo di domanda non dovrebbe esistere… È un po’ come chiedere quale dei vostri figli preferite! Tuttavia siamo sicuramente concordi sul fatto che vinca il Trio di Ravel! Non perché lo preferiamo rispetto al Notturno o al Trio n. 2 di Schumann, ma perché qui il compositore compie miracoli nel campo della scrittura per trio con pianoforte. Il nostro insegnante Menahem Pressler ci diceva che in alcune parti di questo Trio dovevamo suonare come un unico strumento chiamato “trio con pianoforte”! La fusione del suono può essere estrema quando le condizioni lo consentono, il ritmo è sempre in movimento, proprio come l’oceano a Saint-Jean-de-Luz che Ravel amava così tanto… Per tutti questi motivi, Ravel suona sempre così speciale».

La tua carriera internazionale è legata al Concorso ARD di Monaco (e ad altri importanti), ma ho letto che sei un po’ critico su questo tipo di concorsi musicali. Sono così necessari? Saresti lo stesso musicista oggi senza quelle affermazioni?
«Innanzitutto vorremmo evitare i malintesi: ci sentiamo davvero grati verso le competizioni che abbiamo superato, in particolare l’ARD che ha davvero lanciato la nostra carriera di trio. Dal 2013, anno della nostra vittoria all’ARD, il modo di farsi sentire come musicista è già molto cambiato. Direi che l’obiettivo di essere pronti ad affrontare grandi programmi per presentarsi ai concorsi può essere certamente utile per dei giovani studenti che hanno bisogno di motivazione. Questa è anche l’occasione per ascoltare altri musicisti, ricevere consigli dalla giuria… Per un gruppo di musica da camera è anche una avventura umana totalizzante, che comporta il supportarsi a vicenda nei momenti migliori e peggiori! I concorsi sono tutti molto intensi e impegnativi per un giovane musicista: questa è la parte molto positiva del gioco. Ma poi è l’unico posto in cui vengono richiesti determinati standard. Dopo, è importante costruire la propria voce e dimenticare tutto questo!»

Oggi, nell’era digitale, a molti neo-virtuosi basta aprire un canale Youtube o un profilo Instagram per raggiungere milioni di ascoltatori, ottenendo facilmente grande visibilità, consenso e (spesso) accordi discografici. Credi che questo cambi in qualche modo la percezione che l’artista ha di se stesso, il valore della sua arte e il giudizio del pubblico e della critica?
«Di certo cambia il tempo che hai a disposizione per esercitarti! I social media, come tutto, hanno parti buone e cattive. Puoi imparare molte cose sulle notizie musicali ecc… ma per rimanere competitivo implicano anche molto impegno per postare contenuti sulla tua attività, farti pubblicità… tutte cose che non sono affatto lo scopo di un musicista! I internet e i social richiedono al musicista in una sorta di spirito di marketing lontano dall’introspezione che questo lavoro richiede. Non vedo l’ora di vedere cosa porteranno e faranno fiorire i prossimi dieci anni!»

Ho letto questa vostra affermazione: “La musica da camera è una scuola di vita”. Cosa intendete?
«Dovremmo forse aggiungere “gruppo di musica da camera”! Naturalmente è una scuola di vita, poiché è necessario sviluppare molte abilità personali per poter crescere insieme e non smettere mai di guardare nella stessa direzione. Nella musica devi sempre tenere conto della personalità, dei punti di vista dei tuoi colleghi. E questo è interessante quando le opinioni sono diverse, perché tutte sono utili! Noi abbiamo l’abitudine di parlare della facoltà di guardare “dall’altra parte dell’albero”, di rimanere aperti ad ogni altro modo di ascoltare la musica e di provare sempre molte opzioni musicali. La musica da camera è molto una questione di sperimentazioni!

Intervista raccolta da Laura Brucalassi per l’Unione Musicale