Il Quartetto Prometeo torna all’Unione Musicale dopo dieci anni, quali sono state le tappe più decisive della vostra carriera dal 2012 a oggi?
«La premessa necessaria è che per abitudine e tensione creativa siamo maggiormente propensi a guardare avanti piuttosto che indietro!
Gli ultimi dieci anni sono stati ricchi di “conquiste” : da importanti premi quale il prestigioso Leone d’argento della Biennale di Venezia, a rapporti ormai consolidati di “residenza” come quelli estivi con l’Accademia Musicale Chigiana e il Festival di Portogruaro, l’incisione di molti cd tra i quali quello su ECM dedicato alle Reinvenzioni di Stefano Scodanibbio e quello su Sony dedicato alle trascrizioni dall’antico (Arcana del 2015), moltissimi concerti e viaggi e il dialogo sempre vivo con molti amici musicisti compositori o interpreti».
Nel corso della vostra storia ci sono stati avvicendamenti tra alcuni membri del quartetto: come avete affrontato ogni volta il cambiamento? Quali novità hanno apportato i nuovi ingressi ?
«Ogni cambiamento rappresenta un capitolo di una lunga storia che è quella dell’ensemble dalle sue origini. Si deve creare un equilibrio nuovo all’interno del quartetto, una sintesi fra quella che è l’identità del gruppo e le novità apportate dalla personalità del nuovo musicista. Quando c’è affinità profonda questo processo è piuttosto facile e “naturale” e sono sicuramente preponderanti gli aspetti positivi rispetto alle possibili “difficoltà”. Ogni nuova voce dà linfa al confronto e alla ricerca senza fine che è il lavoro di un quartetto d’archi».
Nei vostri programmi si riscontra un’attenzione verso repertori vari e tra loro anche molto distanti. Come nascono le vostre scelte musicali?
«Nascono da un incontro di razionalità e intuizione; dal gusto condiviso certamente, ma anche dalla fiducia che si ripone nel gusto di chi in un dato momento “trascina” tutti nell’entusiasmo per un certo autore o un certo brano.
Condividiamo l’idea di affiancare al grande repertorio la riscoperta di pagine poco frequentate e quella di autori ingiustamente “dimenticati”. È questo il caso dello splendido Quartetto n. 3 di Giorgio Federico Ghedini, un brano di straordinaria intensità dallo stile molto moderno, e anche del repertorio che abbiamo inciso negli anni scorsi: penso ad esempio al monumentale quartetto di Hugo Wolf, un vero gioiello del tardo Romanticismo o agli affascinanti Quartetti di Karol Szymanowski. Ci piace mettere in discussione le abitudini dell’ascolto; idealmente recarsi a un concerto dovrebbe essere sempre un atto di scoperta e di rivelazione».
Il vostro impegno nello studio e nella diffusione della musica contemporanea è vivo e costante. Quali sono le differenze principali nell’affrontare il repertorio tradizionale e quello contemporaneo?
«La differenza principale, può apparire tautologico ma è veramente fondamentale dirlo, è la possibilità di dialogare con un compositore vivente. Valutare insieme le possibili risposte alle infinite domande interpretative che pone una partitura (di ogni epoca e stile) è un processo che non può che influenzare positivamente la nostra ricerca sul repertorio del passato. In questo dialogo con grandi compositori di oggi si approfondiscono, direi inevitabilmente, tematiche assolute della musica e dell’arte di tutti i tempi: il respiro di un brano, la scelta di suono, di un timbro, il rapporto col silenzio, con il limite. Una ricerca e un’ispirazione che si riflettono in modo fertile quando torniamo a posare il nostro sguardo sui grandi autori dei secoli scorsi».
Intervista raccolta da Gabriella Gallafrio per l’Unione Musicale