Come nasce il programma che presentate a Torino? Qual è il vostro rapporto con la musica di oggi?
Abbiamo voluto accostare i quartetti di Schubert e Zemlinsky che, pur appartenendo a due epoche diverse sono manifestazioni dello stesso orizzonte culturale tipicamente viennese. Crediamo che ascoltandoli nella stessa serata si possa scoprire quanto i due capolavori siano intimamente connessi. Di Tumulti e d’Ombre è il quartetto che ci ha portato alla vittoria del Premio per la miglior esecuzione del brano contemporaneo all’XI Premio Paolo Borciani. Fin da quando ci siamo trovati a scegliere non abbiamo avuto dubbi, perché conoscevamo la compositrice attraverso l’ascolto di alcune altre sue opere che ci avevano colpito particolarmente. Era inoltre l’occasione di suonare un brano del repertorio italiano contemporaneo che desideriamo esplorare e contribuire a diffondere.
La vostra formazione prende il nome da Theodor Adorno, il filosofo che individuò nella musica da camera una chiave per definire il vero rapporto tra l’uomo e la musica. Secondo voi che ruolo ha la musica nello sviluppo di una persona?
La musica è sicuramente influenzata dalla società, ma al tempo stesso è miracolosamente in grado di influenzare la società stessa e lo spirito degli uomini. La musica da camera in particolare si fonda su una comunione di intenti tra individui diversi che raggiungono il loro obbiettivo attraverso l’ascolto reciproco, la disponibilità a cambiare punto di vista e la coscienza che il bene comune è fondamentale anche per lo sviluppo della propria personalità individuale.
Una ricca esperienza musicale fatta di canto, ascolto e movimento pare che porti vantaggi molto significativi ai bambini anche per ’apprendimento di altre discipline. Secondo la vostra esperienza di giovani musicisti, si differenzia chi ascolta o studia musica da chi non lo fa?
Sicuramente l’attività musicale richiede doti come la memoria, la concentrazione, la coordinazione e l’abnegazione che sono fondamentali in qualsiasi attività umana. Svilupparle attraverso la musica non può che aver risvolti positivi, ma queste stesse qualità possono essere potenziate anche attraverso altre discipline. Una peculiarità dello studio della musica è che sviluppa l’elemento razionale senza mai prescindere da quello emotivo e creativo.
Come cambia l’ascolto (e l’interpretazione) della musica classica nell’era digitale, in cui la fruizione dei contenuti è estremamente veloce? Ha ancora senso l’ascolto di un concerto dal vivo?
Come in altri aspetti della vita umana, l’abbondanza e la facilità di accesso rischiano di creare una situazione di confusione e addirittura indifferenza verso i messaggi che ci arrivano dagli altri. È un risvolto inquietante che nell’epoca del maggior sviluppo delle forme di comunicazione sia sempre più difficile trovare un momento di vera condivisione umana. Nessun prodigio della tecnologia potrà mai sostituire l’empatia che naturalmente si crea nel momento magico del concerto.
Che cosa direste a un ventenne per convincerlo a partecipare al vostro concerto?
La distanza che i giovani credono di sentire nei confronti dalla musica classica è determinata dalla convinzione errata che ascoltare un concerto releghi in una condizione di passività e quindi di noia lo spettatore. Ad un ventenne spiegheremmo quanto il pubblico sia parte attiva nella dinamica comunicativa che si crea durante il concerto e quanto sia importante per la riuscita dello stesso. L’energia e l’interesse che il pubblico può mostrare ne possono cambiare completamente le sorti. Non c’è alcuna azione degli esecutori che non sia legata alla percezione dell’emozione del pubblico in una dinamica che ha la caratteristica dell’assoluta biunivocità.
Intervista raccolta da Laura Brucalassi per l’Unione Musicale
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