Come nasce l’idea dell’originale programma che presentate all’Unione Musicale?
L’idea è nata da una conversazione che ho avuto, più di due anni fa, con Shaul Bassi del Centro Veneziano di Studi Ebraici Internazionali. Lui parlava del doppio anniversario della morte di Shakespeare e della fondazione del Ghetto. All’epoca stava preparando una produzione del Mercante di Venezia da tenere dentro il Ghetto stesso, che ha avuto luogo nel luglio del 2016. Ho pensato che l’idea potesse essere la base per un progetto interessante – un programma che non trattasse di Shakespeare o del Mercante di Venezia, che vedesse in Shylock non un personaggio letterario, ma una persona vera. Un Shylock che vagava tra le calli e le piazze di Venezia, un po’ come il Leopold Bloom dell’Ulysses di James Joyce per le strade di Dublino.

Quali gli obbiettivi di questo programma?
L’obbiettivo di tutti i nostri programmi è di promuovere la tolleranza militante. Shylock era un immigrato, o figlio di migranti e la situazione degli ebrei all’epoca non era diversa da quella di tanti profughi oggi. Il movimento delle persone fa parte delle radici della cultura europea, e ha portato soprattutto ricchezza culturale, economica e sociale. Venezia era (ed è) una città multiculturale e può essere vista, per l’epoca di Shylock, come un modello come Ginevra, Toronto, Istanbul, Amsterdam o Torino oggi.
Abbiamo preso testi in ebraico, yiddish, spagnolo e italiano e in altre lingue della diaspora, per le quali abbiamo ricostruito la musica, insieme a canti religiosi, musiche per carnevale, in particolare cercando fra le villanelle che ritraggono ebrei; e un insieme di danze e canzoni che sarebbero state patrimonio di tutti i veneziani. I testi recitati sono presi dall’autobiografia di Leon Modena: enfant prodige, poeta, musicista, professore, etnologo e giocatore compulsive. A Torino, ci sarà anche il video set, creato da Silvia Fabiani, artista multiforme, con immagini prese soprattutto da fonti ebraiche. Montare questo progetto è stato impegnativo. Ha richiesto molto lavoro, ma, alla fine, siamo riusciti, spero, a creare uno spettacolo capace di far rivivere una Venezia attraverso i sensi e i pensieri di un veneziano, ebreo e tedesco del Cinquecento.

Con quale tipo di indagini riportate in vita gli antichi repertori?
Da molti anni uno degli scopi principali del gruppo è la ricerca dei repertori degli ‘altri’: la musica delle persone che non erano associate con i grandi centri della scrittura, le persone per le quali la musica era principalmente trasmessa oralmente. Ci vuole un tipo di studio che mette a confronto le fonti storiche con la tradizione orale. O meglio: molte fonti storiche e molte tradizioni orali. Ci sono pervenuti molti canzonieri dove si trovano testi che sappiamo essere stati cantati, ma che non portano nessuna notazione musicale. Questo metodo di trasmissione è tutt’altro che illogico, quando si considera che tutti conoscevano centinai di melodie a memoria. E del resto è ancora così: infinite sono le raccolte di testi di canzoni, senza notazione musicale o a volte con solo gli accordi per la chitarra ma nessuna melodia trascritta.
Che fare, oggi, quando la melodia manca? Talvolta si trova un brano che è sopravvissuto, con la stessa struttura musicale, appartenente alla stessa epoca e proveniente della stessa regione, con la notazione musicale. È quasi sempre necessario di cambiare, per adattare la melodia alle parole. Certe forme sono anche rimaste nella tradizione orale. Francis Biggi e Gloria Moretti hanno fatto un progetto dove hanno rimesso l’Orpheo di Poliziano in musica, utilizzando melodie delle frottole rinascimentale insieme a delle melodie utilizzate ancora oggi per cantare la Gerusalemme liberata o per improvvisare. È sempre una questione di ricerca ma anche applicazione pratica – per una soluzione plausibile adatta al performance.

Secondo la vostra esperienza, come si può rendere emozionante e coinvolgente il repertorio della musica antica per il pubblico di oggi, specialmente i giovani?
Credo che la musica stessa possa servire come strumento per rendere certi argomenti (realtà culturali o periodi storici) più coinvolgenti ed emozionanti. S’impara meglio attraverso i sensi! La musica inoltre diventa più emozionante quando si capisce il contesto in cui è stata scritta, quando diventa parte di un racconto più grande. In inglese si dice “edutainment,” un mix di “education” ed “entertainment”.
Molto dipende anche del modo di suonare: più energia si dà, più si coinvolge. Noi dell’ensemble Lucidarium cerchiamo sempre di avere un contatto diretto con il pubblico. Il nostro modo di suonare è piuttosto informale, perché ci sembra importante demistificare, ridurre la distanza fra il performer e il pubblico. Inoltre, ci piace molto fare concerti per ragazzi o progetti nelle scuole.
Per questo progetto, abbiamo lavorato in cooperazione con un’artista video, Silvia Fabiani. Il suo video mapping mostra immagini molto suggestive che illustrano visivamente il periodo storico e il contesto culturale. La performance visiva è stata pensata per coinvolgere i giovani, perché sono cresciuti con la video music e per loro la musica è strettamente legata all’immagine.

Qual è la parte più divertente del vostro lavoro di ricercatori e interpreti?
È tutto divertente: la scoperta di fonti nuove, provare, suonare, scrivere… Ma la cosa più divertente e più gratificante è il processo creativo che si scatena durante le prove. È vero che io e Francis siamo responsabili per la stesura dei programmi, per la ricerca, per la ricostruzione delle canzoni, per la preparazione delle parte, e tutto il management. Però la resa musicale è un lavoro assolutamente collettivo al quale contribuisce ogni musicista. Non è sempre semplice, ma è molto coinvolgente e soddisfacente!

Qual è il vostro rapporto con i social media?
I social media sono importantissimi! Credo che facebook sia il mezzo attualmente più efficace per comunicare ed è molto più facile da gestire di un sito. È un’ambiente più estroverso e permissivo, dove si possono mostrare le foto della vita quotidiana o i momenti più strani o divertenti di una tournée oppure l’ultima registrazione. La reazione del pubblico è immediata e ci mette in contatto con persone che vivono in luoghi diversi e che hanno interessi molto diversi. E poi è bello per noi incontrare la gente direttamente a concerto, nel mondo “non-virtuale”. Il web dà una serie di opportunità positive: quando sto facendo una ricerca posso chiedere un aiuto, e il crowdfunding – la ricerca dei fondi – permette a ciascuno di contribuire ai progetti che pensa validi: a noi ha permesso ad esempio di coinvolgere due musicisti della Palestina in un concerto realizzato in Croazia e stiamo per montare una nuova campagna per sostenere la registrazione del dvd di questo programma…