Quando e come è nato il vostro ensemble? Considerate l’amicizia che vi lega un valore aggiunto anche dal punto di vista artistico?
«Il quintetto si è costituito circa dieci anni fa ed è nato dall’amicizia che ci unisce da molto tempo. Nei primi anni di attività del quintetto Calogero Palermo era ancora primo clarinetto a Roma poi, avendo vinto il concorso ad Amsterdam, si è trasferito e di conseguenza il nome dell’ensemble è cambiato includendo anche l’Orchestra del Concertgebouw. L’amicizia è sicuramente un valore aggiunto dal punto di vista artistico: l’intesa musicale va di pari passo con l’intesa personale».
Come portate la vostra grande esperienza in campo orchestrale all’interno dell’ensemble cameristico?
«Direi che si tratta di un procedimento opposto: cerchiamo di portare in orchestra la nostra formazione e vocazione cameristica seguendo il principio, su cui ha tanto insistito Claudio Abbado, secondo il quale l’orchestra deve essere considerata come una grande formazione da camera. Anche in orchestra ricerchiamo quindi l’intesa, il respiro comune, l’attitudine allo studio dei piccoli dettagli, il modo di lavorare in un gruppo da camera, dove i musicisti si guardano e si ascoltano in comune accordo».
Che tipo di lavoro si deve fare per trovare l’amalgama sonoro tra strumenti così diversi tra loro?
«Il lavoro sulla timbrica è fondamentale e riguarda soprattutto lo studio degli equilibri e dell’impasto sonoro. Spesso però il nostro lavoro è quello di far risaltare le differenze, perché la diversità timbrica è proprio la cifra distintiva del quintetto a fiati, all’opposto dell’omogeneità voluta e cercata di un quartetto d’archi o del quintetto d’ottoni».
Il concerto ha una prima parte dedicata a Rossini e una seconda con brani del Novecento: c’è un filo rosso che unisce tutto il programma?
«Alla base dei nostri programmi c’è la varietà, perché ci piace spaziare tra autori, epoche e generi, anche per andare incontro al pubblico che apprezza una proposta variegata. Il fil rouge è trovare partiture che valorizzino le caratteristiche strumentali e solistiche di ognuno di noi. Elemento comune di questo programma è sicuramente la timbrica frizzante che accompagna tutti i brani proposti, da Rossini in poi».
Tra i brani in programma ci sono delle trascrizioni: come le scegliete? Quali sono gli elementi che cercate in una trascrizione?
«Cerchiamo trascrizioni in cui gli strumenti siano ben bilanciati tra loro poiché l’effetto che vogliamo dare è sempre quello di una piccola orchestra. Una buona trascrizione prevede una realizzazione armonica articolata, rispettosa della partitura originale; spesso siamo allineati alle scelte già effettuate da altri quintetti internazionali nell’eseguire le trascrizioni migliori in circolazione, quelle che suonano meglio e che incontrano il gradimento del pubblico».
La Piccola offerta musicale di Rota è un piccolo gioiello scritto per quintetto di fiati. Ci presenta questo brano?
«Rota, compositore di grande creatività melodica, è conosciuto in larga parte per le sue colonne sonore, dalle quali ogni tanto si prendeva una pausa per dedicarsi a composizioni di altra natura. è il caso di questo lavoro del 1943, una sorta di rivisitazione moderna della Musicalisches Opfer di Bach, dedicato al suo maestro di composizione Alfredo Casella. È musica del Novecento ma ben lontana dalle difficoltà di linguaggio tipiche delle avanguardie: si tratta di un brano di facile e immediata comprensione, che rivela alcune suggestioni di un autore molto amato da Rota, Francis Poulenc».
Intervista raccolta da Gabriella Gallafrio per l’Unione Musicale