Secondo lei che è stato un bambino prodigio, che ruolo svolge la musica nello sviluppo di una persona?
Nel mio caso importantissimo. Infatti, la Musica, oltre al talento che è innato, è cultura, educazione, matematica, organizzazione mentale, ecc. Ricordo già alle medie, ma anche al liceo, che mi capitava spesso di confrontare – nella metodologia di studio – il latino con il solfeggio; o la storia della musica con la storia in generale; il pensiero di un grande statista o condottiero con quello di un grande compositore o interprete. La crescita delle capacità intellettive, a prescindere dalla materia che possono riguardare, si sviluppa nell’insieme e lo studio serio della musica aiuta moltissimo nell’apprendimento di altre discipline. Scorre tutto più velocemente… Senza pensare alla memoria: pensi alle difficoltà, allo sforzo mnemonico, all’impegno di imparare a memoria una Sonata di Mozart o di Beethoven, un Concerto di Chopin per piano e orchestra, rispetto – naturalmente senza sminuirne i contenuti, ci mancherebbe altro – a quelle di imparare una poesia di Pascoli o di Carducci! Ricordo che al liceo quando facevo i temi di letteratura, mi veniva spontaneo confrontare il pensiero di un poeta con quello di un compositore coevo. Mi sembrava bello e intelligente mettere a confronto il pensiero che sta in una Sonata con quello che sta in una poesia, magari scritte nello stesso momento storico: due modi diversi per esprimere un’emozione, un momento bellissimo o tristissimo… devo dire che non sempre trovavo nei professori questa sensibilità…

Generazioni di bambini crescono guardando cartoni animati che usano la musica classica, ma spesso non sanno neppure di averli ascoltati… Come favorire il contatto di bambini e ragazzi con la classica?
Non è facile rispondere. Io credo che la Musica dovrebbe essere inserita nei programmi scolastici sistematicamente fin dalle elementari in modo organico con metodi adeguati via via all’età, così come si insegnano le altre materie, con la stessa sensibilità, intensità, entusiasmo e importanza, proprio per rendere più ampia e approfondita la formazione culturale dell’individuo, a prescindere dal fatto che possa diventare una professione. Ricordo che da bambino i miei genitori avevano capito che avevo l’orecchio assoluto e mi facevano ascoltare molta musica di tutti i generi. E così mi sono piano piano avvicinato. I social, i sottofondi pubblicitari, i canali commerciali in genere credo potrebbero essere una buona via: invece di proporre sempre o quasi musica rock, pop o simili (senza togliere nulla a questa musica, sia chiaro) potrebbero proporre pochi minuti dei grandi capolavori di Mozart, Chopin o Beethoven nell’esecuzione delle grandi orchestre o dei grandi solisti. Pensi ad uno dei grandi temi dell’”Imperatore” quale sottofondo della Nutella o di Verdi abbinato alla Pasta Barilla (nella tradizione musicale di Parma ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta). Ma sono solo stranezze…

Come cambiano l’ascolto e l’interpretazione della musica classica nell’era digitale, in cui la fruizione dei contenuti è estremamente veloce? Ha ancora senso l’ascolto di un concerto dal vivo?
Credo proprio di sì. Con tutto il rispetto per evoluzione digitale, internet, YouTube ecc. che hanno favorito un importante ed enorme sviluppo dell’ascolto sopratutto fra i giovani, l’emozione di un concerto dal vivo in teatro è comunque tutt’altra cosa. C’è la presenza fisica del solista, dell’orchestra, del pubblico; l’emozione di essere lì in quel momento storico, che è forte soprattutto quando siamo davanti ai grandissimi. Pensi ad un concerto alla Scala del maestro Pollini o del maestro Schiff, del maestro Ughi, che hanno fatto la storia della Musica!

L’Unione Musicale si sta impegnando da anni per coinvolgere maggiormente i giovani ascoltatori con una politica di prezzi che li avvantaggia, con l’introduzione di guide all’ascolto realizzate da giovani musicologi, con la programmazione di nuove formule di concerti brevi e seguiti da un question time con gli interpreti… A suo avviso, possono essere strumenti efficaci?
Certo! Anzi sono molto importanti. Per amare la musica classica è necessario conoscerla, capirla, viverla; è cultura così come la storia. La passione, l’interesse si costruiscono giorno dopo giorno con molta pazienza, favorendo un coinvolgimento “in crescendo” che dovrebbe nascere nella scuola, così come per la matematica. Per questo, credo, gli ascolti di qualità – a maggior ragione se guidati – costituiscono uno strumento prezioso da sviluppare, un po’ come fanno in Giappone o in Germania, dove ci sono concerti a tutte le ore aperti al pubblico anche di massa e dove la musica è intesa come un fattore culturale che – come dicevamo più sopra – fin da bambini viene considerato di grande aiuto per lo sviluppo della personalità, delle capacità intellettive, del buon gusto. Chi ama o pratica la musica seriamente, come chi pratica con impegno lo sport, difficilmente è attratto dalle tante “brutture” che si leggono tutti i giorni sui giornali.

Una volta per un giovane musicista di talento l’unica possibilità di emergere era vincere un prestigioso concorso internazionale; oggi, nell’era digitale, a molti neo-virtuosi basta aprire un canale Youtube o un profilo Instagram per raggiungere immediatamente milioni di ascoltatori ottenendo grande visibilità, consenso e (spesso) contratti discografici. Secondo lei questo cambia in qualche modo la percezione che l’artista ha di se stesso, il valore della sua arte e il giudizio di pubblico e critica?
Indubbiamente i social hanno reso accessibile a tutti anche la grande musica. E questa è sicuramente una cosa molto importante. Tuttavia, credo ci sia ancora molta differenza fra vincere un concorso internazionale e postare su YouTube una esecuzione, magari discutibile… Il maestro Berio, con il quale ho avuto l’onore di studiare e suonare per molti anni e che ha lasciato nella mia formazione artistica e umana un contributo straordinariamente prezioso e unico, mi diceva sempre che il pianoforte, come il violino non sono macchine da scrivere (allora non c’era ancora il pc) o una palestra dove bisogna dimostrare velocità, muscoli, forza… devono emozionare, coinvolgere, entrare nel cuore della gente. Il virtuosismo fatto solo per YouTube (magari con strumenti tecnologici che nulla hanno a che vedere con l’interpretazione) indubbiamente colpisce l’ascoltatore, ma non emoziona, non lascia il segno, soprattutto fra coloro che conoscono poco il pensiero del compositore e la storia dell’interpretazione. Per questo credo che non si possa paragonare lo studio, l’impegno, il talento, la grande determinazione, il sacrificio necessari non solo per vincere ma anche per qualificarsi a un concorso serio internazionale con una direi superficiale registrazione realizzata con l’aiuto del computer per renderla più efficace all’ascolto di massa.

Intervista raccolta da Laura Brucalassi per l’Unione Musicale