Maestro Vallerotonda, il nome “I Bassifondi” è piuttosto curioso: come lo avete scelto?
«Fui ispirato da una mostra a Villa Medici a Roma intitolata “I Bassifondi del Barocco” dove suonai in mezzo a quadri che raffiguravano scene musicali di strada. Da lì il lampo, l’intuizione di chiamare così il mio ensemble che fa ricerca e suona proprio questo repertorio. Tra l’altro il nome è anche un gioco di parole: Bassifondi inteso come strade e periferie della città, è anche bassi profondi di strumenti come la tiorba e il colascione che suoniamo».
Quando e come è nato il “progetto Bassifondi”? Perché vi siete interessati proprio a questo setting storico-geografico in particolare?
«L’ensemble nasce nel 2014 per volontà mia e del percussionista Gabriele Miracle. L’idea era quella di riportare in luce autori meno noti del Seicento e rintracciare i legami con il sostrato popolare della musica che ha ispirato i grandi e colti compositori coevi».
Quali sono state (e sono tuttora) le vostre fonti per “ricostruire” l’ambiente culturale e musicale della Roma del Seicento?
«Il repertorio stampato e non è il primo bacino di ricerca. Poi ricorriamo all’iconografia, ai trattati organologici e musicali».
Tiorba, colascione e sordellina non sono tra gli strumenti più gettonati nelle comuni scuole di musica: come è nato l’interesse nei confronti di questi strumenti? Com’è studiare uno strumento d’epoca (con il relativo repertorio)?
«Sicuramente come strumenti storici non son proprio di comune e facile accesso ai giovani. Personalmente la conoscenza del repertorio per liuto è nata già quando studiavo la chitarra classica. E da lì il salto all’indietro verso l’antico è stato sempre più consapevole e deciso. Studiare strumenti d’epoca implica un continuo farsi domande si come e perché far rivivere questa musica, altrimenti dimenticata. La fortuna è che ogni volta la risposta è: “Ne vale davvero la pena!”».
Nel corso della sua carriera ha collaborato con ensemble d’eccellenza: qual è stata l’esperienza che, ad oggi, l’ha colpita di più?
«Impossibile sceglierne una soltanto: il primo concerto solistico, la prima opera in buca, il primo concerto in orchestra o in ensemble, la prima registrazione… ho avuto la fortuna di suonare sin da subito con i migliori musicisti e direttori d’Italia e d’Europa e grazie a ciascuna esperienza ho potuto imparare il “mestiere” del musicista».
Intervista raccolta da Francesco Bonfante per l’Unione Musicale
Foto di Matteo Casilli