Come è cambiata la sua carriera dopo la vittoria nel 2016 al prestigioso Concorso internazionale Mozart di Salisburgo?
Come conseguenza più immediata sono arrivati più concerti, la maggior parte dei quali in compagnia di Mozart, il che è già di per sé un gran regalo. Mozart è per me un grande maestro di vita. Quanto è difficile mantenere freschezza e naturalezza nel suonare quando si ripete lo stesso brano più e più volte! Soprattutto la musica di Mozart è sensibile: non appena manca la spontaneità, tutta la magia scompare in un attimo. Grazie a questi concerti ho conosciuto musicisti incredibili, ho avuto l’onore e immenso piacere di suonare con Janine Jansen, Martin Fröst, più volte con Ian Bostridge e sono stata e andrò anche in Cina, Sud Corea, Giappone, Stati Uniti , Russia. Da un anno vivo a Vienna, respiro musica tutti i giorni, dentro e fuori casa.

Il suo primo concerto in una stagione dell’Unione Musicale risale al 2006 e poi ne sono seguiti altri… che cosa rappresenta ogni volta tornare tra il pubblico che l’ha vista crescere e maturare professionalmente?
Chiaramente si tratta di un legame quasi sentimentale, sono cresciuta con i concerti dell’Unione Musicale! Prima ancora di prendervi parte, ho sentito i concerti più memorabili della mia vita e ho provato le prime emozioni sul palcoscenico di Torino. Conosco il pubblico (fedelissimo!) ed è sempre un po’ come tornare a casa. C’è anche un elemento di responsabilità, certo, ma il piacere di poter condividere la mia visione e idea di musica e portare il pubblico con me in un lungo viaggio proprio “a casa mia”, mi rende così felice!

Secondo lei e in base alla sua esperienza personale, qual è il ruolo della musica nello sviluppo di un bambino?
Direi fondamentale. Uno dei grandi problemi della nostra epoca è la disconnessione tra ciò che siamo e tutto il resto. Tanta ansia, tanta fretta, caos, bisogna fare grandi sforzi per trovare calma e la quiete, per assicurarsi che ciò che stiamo facendo abbia un senso, per conoscere e accettare senza pudori o vergogna le nostre emozioni. Lo studio e la pratica della musica creano delle possibilità che sono quasi sempre sottovalutate. Oltre ai benefici che riguardano lo sviluppo del cervello e alla disciplina, che riveste una così grande importanza nella formazione del carattere, la musica apre la mente, insegna che esistono sempre più possibilità e più soluzioni, insegna la pazienza, amplia il punto di vista, rende più tolleranti, porta a conoscere i propri limiti, incita a superarli ma allo stesso tempo ad accettare ciò che si è. Porta a conoscere culture diverse e connette persone che vengono da parti opposte della Terra, molto più di qualunque linguaggio o teoria. Un continuo esplorare, una ricerca che per me è pari alla meditazione: quando studio i pensieri scompaiono del tutto e si crea una sorta di “silenzio” e di calma in cui esiste solo la musica e la ricerca. La musica offre anche salvezza e un appoggio, un’alternativa in momenti di sconforto, offre pelle d’oca, spunti e collegamenti. Non è necessario che i bambini diventino grandi virtuosi: basta poco per entrare in contatto con la musica, abbastanza da permettere poi in futuro di ascoltare un brano di musica classica o di andare a concerto senza sentirsi fuori luogo.

L’Unione Musicale si sta impegnando da anni per coinvolgere maggiormente i giovani ascoltatori con una politica di prezzi che li avvantaggia, con l’introduzione di guide all’ascolto realizzate da giovani musicologi, con la programmazione di nuove formule di concerti brevi e seguiti da un question time con gli interpreti… A suo avviso, possono essere strumenti efficaci?
Di certo aiuta molto dimostrare ai giovani che la musica classica è per tutti e di tutti. E trovo l’idea di dare la possibilità di interagire e porre domande agli interpreti sia ottima.

Conservatori, licei musicali, scuole medie musicali, liceo coreutico-musicali. Contrariamente a quanto si dice, nel nostro Paese sembra che la musica classica non sia così assente nel panorama formativo ufficiale, tuttavia più il tempo passa e più ci si lamenta che le istituzioni non fanno nulla per colmare il divario tra musica colta e pubblico. Qual è la sua opinione in merito?
Il problema della frequente assenza di giovani ai concerti di classica parte proprio dalla scuola purtroppo, ma la critica riguarda esclusivamente l’avvicinamento alla musica, non il percorso che in Italia deve fare chi ha l’aspirazione di diventare musicista per professione. Questo è un discorso a parte. La possibilità di avvicinarsi alla musica deve essere, per tutti i bambini, un DIRITTO (presente in tutte le scuole primarie) e non una SCELTA per i fortunati che hanno genitori che prendono l’iniziativa (e si possono permettere) di mandarli prima a lezioni private e poi alle medie e liceo musicali. La musica si impara da bambini ma non soffiando in un flauto di plastica. Se si può dire che i bambini sono curiosi e che non è così difficile attirare la loro attenzione, ciò non significa che non si debba offrire loro qualcosa di meglio di uno strumento così insopportabile: questa non è musica!
Certo un’altra cosa che tiene lontani i giovani dalle sale da concerto è la costante frenesia e corsa all’ottenere qualsiasi cosa in brevissimo tempo (il “più veloce è, meglio è”, tipico dei nostri tempi) che uccide ogni eventuale attitudine alla concentrazione e al silenzio: difficile portare un adolescente a un concerto se non ha mai sperimentato la musica classica. Per questo insisto sulla scuola primaria per contrastare questo impoverimento culturale, e credo che l’unico modo di avvicinare davvero i giovani sia quello di far conoscere la classica fin da bambini, così che non rappresenti in futuro solo un’occupazione elitaria, boriosa, per intellettuali “nerd”. Le cose forse stanno lentamente cambiando, ma per troppo tempo è stato così.

Una volta per un giovane musicista di talento l’unica possibilità di emergere era vincere un prestigioso concorso internazionale; oggi, nell’era digitale, a molti neo-virtuosi basta aprire un canale Youtube o un profilo Instagram per raggiungere immediatamente milioni di ascoltatori ottenendo grande visibilità, consenso e (spesso) contratti discografici. Secondo lei questo cambia in qualche modo la percezione che l’artista ha di se stesso, il valore della sua arte e il giudizio di pubblico e critica?
Dipende da persona a persona: non credo che avere un canale YouTube di successo possa elevare o migliorare il valore di un artista; qualcuno forse vede con snobismo questi fenomeni, credo però che alcune personalità, se forti e oneste, possano avvantaggiarsi di una tale esposizione. Si raggiunge un pubblico molto più ampio e variegato, rispetto a quello “volontario” delle sale da concerto. Alla fine, in ogni caso, la carriera di un musicista di qualunque genere, anche se nasce su Internet, si può solo sviluppare dal vivo, in concerto, nel rapporto in carne e ossa con il pubblico. Ed è il rapporto con il pubblico la cosa più bella e che più ispira in questo mestiere.

Intervista raccolta da Gabriella Gallafrio per l’Unione Musicale