Maestro De Maria, siamo quasi in dirittura d’arrivo di questo lungo progetto dedicato all’integrale delle Sonate di Beethoven… possiamo fare un bilancio dell’esperienza?
«L’ultima integrale da me realizzata all’Unione Musicale è stata quella di Chopin ed era partita da un’idea dell’allora direttore artistico Giorgio Pugliaro: lì per lì mi parve un’idea un po’ folle ma poi fui contentissimo di essere riuscito a realizzarla. Invece per quanto riguarda Beethoven, dal momento che avevo già in repertorio almeno due terzi delle Sonate sentivo fortemente il desiderio di completare la conoscenza di tutto il corpus sonatistico, una necessità dettata da esigenze sia artistiche sia didattiche. L’accoglienza da parte dell’Unione Musicale di questo progetto è stata quindi per me una grande opportunità di crescita e mi ha reso particolarmente felice».

Affrontare l’intero corpus sonatistico ha aperto nuovi orizzonti sulla sua interpretazione di Beethoven?
«Certamente, quanto più conosci un compositore tanto più riesci a comprenderne il linguaggio e a entrare in profondità. Avere una visione completa permette di scoprire i legami più nascosti che uniscono le 32 Sonate. Si può sicuramente dire che questi lavori parlino tra di loro: si scopre così per esempio che il tema d’apertura dell’op. 109 è basato esattamente sul tema dell’ultimo movimento dell’op. 79, oppure che nello sviluppo del primo movimento della 109 c’è già il tema dell’Arioso dolente della 110. È fondamentale poi approfondire tutto il repertorio, non solo quello pianistico: Beethoven infatti pensava in maniera orchestrale o quartettistica anche nel momento in cui scriveva per pianoforte solo. Questa caratteristica è molto evidente soprattutto nelle ultime Sonate: sempre nell’op. 109, per esempio, la Variazione n. 5 ha un’incredibile affinità tematica e di carattere con il Credo della Missa solemnis. Conoscere così in profondità questo autore mi ha poi permesso di sfatare un po’ l’immagine di un Beethoven dai forti contrasti, di una musica tutta energia e vigore: la sua musica è piena di indicazioni di “piano” e “pianissimo”; è curioso per esempio che in un brano come il Concerto n. 5 “Imperatore” ci siano numerosissime indicazioni di suonare “Leggermente”. Possiamo dire che Beethoven sapeva essere anche tenero!»

Nell’arco della carriera di un artista c’è un momento migliore per intraprendere un progetto così impegnativo?
«Non c’è mai un momento migliore. Molti dicono che le ultime Sonate, veri e propri monumenti colossali, non si possono affrontare prima dei cinquant’anni: io non sarei così restrittivo, però ora che questa età l’ho raggiunta forse mi sento più pronto. C’è un aspetto positivo da non sottovalutare legato invece al momento in cui viviamo: al giorno d’oggi sono diventati più accessibili, anche online, gli autografi di Beethoven e ci sono delle nuove edizioni delle Sonate che, rispetto a quelle del passato, riportano in modo approfondito le varie scelte operate dagli editori rispetto ai manoscritti beethoveniani. Si scoprono così tanti dettagli di cui prima non si era a conoscenza. Per esempio, dell’op. 31 n. 3 non esiste più l’autografo ma abbiamo la prima edizione di Naegeli e la prima di Clementi. Tra queste due versioni ci sono piccole differenze: avere a disposizione il materiale per fare questi affascinanti raffronti è oggi molto più facile rispetto anche solo a vent’anni fa».

C’è una Sonata alla quale è particolarmente affezionato? Perché?
«Le Sonate a cui sono più legato sono l’op 111 perché la eseguii al mio diploma, poi l’op. 14 n. 2 perché è la prima Sonata di Beethoven che ho affrontato nel mio percorso di studi. Aggiungo ancora la Pastorale op. 28, la prima Sonata che studiai insieme alla mia insegnante Maria Tipo.
C’è poi un aneddoto che mi lega alla Sonata op. 90: diversi anni fa, durante un concerto al Teatro Municipal di Santiago del Cile, ero arrivato a tre quarti dell’ultimo tempo quando improvvisamente ci fu un blackout totale nel teatro. Brusio in sala… ma io continuai a suonare fino alla fine della Sonata nel buio più totale. Terminata l’esecuzione ci fu un’ovazione quale non mi capiterà più di avere dopo un pezzo che finisce così dolcemente come l’op. 90

Intervista raccolta da Gabriella Gallafrio per l’Unione Musicale