Maestro Bonomini, partiamo dall’inizio: come è avvenuto l’incontro tra voi? Che cosa vi ha portato alla decisione di suonare insieme?
«Ci siamo conosciuti a Berlino: la scena musicale era molto viva e ci si trovava spesso a leggere repertorio cameristico a prima vista. Ricordiamo molti quartetti di Haydn e Mozart, ma anche quintetti, sestetti, compositori romantici, progetti più ambiziosi. Ci trovammo bene e, pur avendo originariamente intenzione di formare un quartetto, decidemmo di optare per il trio, un po’ per il piacere di suonare in tre, un po’ perché ci piace poter esplorare un repertorio meno frequentato».
Individualmente siete impegnati anche nell’attività solistica, cameristica e talvolta anche come prime parti di importanti orchestre europee. Che cosa rappresenta per voi l’esperienza
cameristica?
«Il percorso cameristico porta i componenti di un gruppo a conoscersi profondamente, a sviluppare un linguaggio proprio, un modo di intendere e suonare la musica comuni. Non è solo la ricerca dell’unità ad essere stimolante, ma anche e soprattutto la flessibilità necessaria a saper cogliere sul momento un’intenzione nuova, un’idea sorta spontaneamente nel momento dell’esecuzione. Questa libertà esecutiva è tra le cose più seducenti della musica da camera. In questo senso ci ricorda una chiacchierata con vecchi amici: pur conoscendosi bene, il confronto porta sempre a nuovi esiti».
Ho letto che una delle vostre principali finalità è valorizzare le opere scritte per il vostro organico strumentale. Ci sono dei brani che amate particolarmente o che meglio si adattano al suono e allo spirito della vostra formazione?
«Una delle nostre prime infatuazioni è stato Luigi Boccherini e i suoi trii per archi, compagni fedeli di molte letture. Ma ci troviamo spesso a frequentare il repertorio cosiddetto classico: è quello che abbiamo eseguito più frequentemente, anche registrando l’integrale dei trii di Beethoven per l’etichetta Genuin. Più recentemente, la nostra ricerca ci ha portato ad approfondire la conoscenza di due compositori ungheresi, Leo e Laszlo Weiner, la cui musica ci appassiona e cerchiamo di far riscoprire. Abbiamo da poco registrato i brani scritti da questi due autori per la nostra formazione in un progetto discografico per l’etichetta BIS».
A Torino presentate pagine di Mozart e Bach accanto al Trio composto da Alfred Schnittke nel 1985 per festeggiare il centenario della nascita di Alban Berg. Ci raccontate perché avete scelto questo accostamento? C’è un filo rosso che lega le opere in programma?
«Abbiamo pensato a questo programma suggestionati dall’idea del chiaroscuro, luce e ombra. Si tratta di due brani tra i più noti del repertorio per trio d’archi. È difficile pensare a opere più contrastanti tra loro, e troviamo che l’accostamento ne aumenti la forza espressiva. Il preludio e fuga iniziale è invece una curiosità musicale che siamo felici di proporre: è praticamente sconosciuta, fatto insolito considerando il nome dell’autore, nientemeno che Mozart (sebbene il tema della fuga sia preso da Bach)».
Intervista raccolta da Laura Brucalassi per l’Unione Musicale