Maestro Tonda com’è nata la sua collaborazione con Christophe Coin?
«Il nostro primo incontro è avvenuto, ormai qualche anno fa, grazie a Mara Colombo, direttrice artistica del festival “Gaudete!”. La nostra collaborazione, attraverso la realizzazione di diversi concerti, è quindi proseguita, permettendoci oggi di presentare al pubblico dell’Unione Musicale di Torino un programma particolare, dall’accento “piemontese”. In questa occasione possiamo dire di avere la possibilità di “giocare in casa”».

Parliamo proprio del programma: le opere che eseguirete per il pubblico dell’Unione Musicale sono appunto tutte legate a Torino e il Piemonte. Com’è nata l’idea? Ci sono dei precisi legami anche musicali, oltre che storici e geografici, tra le pagine che eseguirete?
«Fra i brani del programma del nostro primo concerto il Notturno in la minore di Giovanni Battista Viotti ha rappresentato di certo la composizione più particolare e, partendo proprio dai Tre Notturni del maestro vercellese (pubblicati a Parigi nel 1818), abbiamo immaginato di ricreare l’atmosfera di un “salotto musicale” sabaudo di inizio Ottocento. Ai Notturni di Viotti si è così affiancata la sorprendente quanto poco conosciuta Sonata per violoncello e fortepiano del 1806 di Bonifacio Asioli (primo direttore del Conservatorio di Milano e spesso protagonista con le sue opere della vita musicale torinese), per completare il programma con le celebri Variazioni op. 54, composte nel 1810 da Johann Nepomuk Hummel e dedicate alla danza piemontese della “monferrina”. Il fil rouge del programma è pertanto rappresentato dall’aspetto geografico, mentre dal punto di vista stilistico (sebbene i brani appartengano al medesimo periodo) è la varietà la connotazione principale: all’idioma violoncellistico dei Notturni di Viotti fa da contraltare la cifra più pianistica della Sonata di Asioli, il tutto risolto dall’equilibrio fra gli strumenti e la spettacolarità delle Variazioni di Hummel».

Nel suo percorso com’è scaturita la passione per la musica barocca? Rispetto al repertorio composto in altre epoche storiche, come risuona in lei questa musica?
«Sebbene il repertorio proposto questa sera si riferisca al periodo classico-romantico di certo l’interesse per gli strumenti antichi e per la prassi esecutiva “storicamente informata” deriva dalla nostra passione per la musica barocca. Per quel che mi riguarda, l’entusiasmo per questo repertorio è scaturito dall’incontro con Emilia Fadini, clavicembalista, musicologa e persona meravigliosa, che ha influito in maniera determinante sull’affetto e il rispetto per la musica di quel periodo. Emilia ci ha recentemente salutati, e la sua perdita ha lasciato un grande vuoto nella “famiglia della musica antica”. Quello che mi affascina principalmente della musica del periodo barocco (come del successivo periodo galante) è la possibilità di ricondurre il discorso musicale all’affetto, alla sintassi e alle convenzioni retoriche. La conoscenza di quel linguaggio e del suo significato sintattico è affascinante, e dà la possibilità di effettuare scelte individuali consapevoli, che seppur personali (l’esecuzione non può mai essere un’operazione di “archeologia musicale”) sono indirizzate dalla conoscenza della prassi esecutiva del tempo».

Secondo lei brani di musica scritta così tanto tempo fa possono ancora comunicare qualcosa all’ascoltatore di oggi? Qual è il ruolo e la responsabilità dell’interprete?
«La musica di qualsiasi periodo, se buona musica, ha sempre il potere di comunicare! In questa direzione il ruolo dell’interprete, come dice la parola stessa, è quello di fare da tramite, interpretando e restituendo musica scritta nel presente o in un passato più o meno lontano. Un interprete non solo deve conoscere le norme che regolano il linguaggio musicale e la prassi esecutiva di un certo periodo ma, a mio parere, conoscere anche le caratteristiche degli strumenti che hanno certo influito nel momento compositivo, per un discorso che trovo particolarmente affascinante in ambito pianistico, considerata la grande differenza fra le diverse tipologie di pianoforte costruite dagli inizi del Settecento ad oggi. Lungi da me dire che la musica di Mozart, ad esempio, si debba solo eseguire sul fortepiano tardo settecentesco, ritengo però che una conoscenza delle caratteristiche di quella tipologia di strumento possa aiutare ad avere una consapevolezza più approfondita di quello stile, indipendentemente se poi si scelga di restituirlo su un pianoforte dell’epoca o su un pianoforte moderno».

Ci può svelare qualche progetto per il futuro?
«L’idea è quella di proseguire la ricerca nell’ambito musicale “italiano” tra il XVIII ed il XIX secolo, valutando quindi la possibilità di realizzare un’incisione discografica. Un’altra ipotesi è la stesura dell’edizione critica della Sonata di Asioli, pervenutaci solo dalla prima edizione di Casa Ricordi del 1827 e da una revisione tardo ottocentesca del violoncellista Friedrich Grützmacher, che – per quanto interessante – non restituisce all’esecutore di oggi un testo vicino alle intenzioni dell’autore».

Intervista raccolta da Corinne Hugonin per l’Unione Musicale