Come nasce il programma che presenterete all’Unione Musicale?
Il programma che presenteremo all’Unione Musicale di Torino nasce dall’incontro tra me e l’amico e collega Marco Rizzi. Dopo un concerto insieme al Festival di Stresa, circa due anni fa, già di per sé emozionante, giacché non ci frequentavamo da più di 25 anni, da quando di fatto eravamo ancora studenti. Dopo questa esperienza ci siam detti: e ora che possiamo fare? Ci è venuto spontaneo pensare a un programma di quintetti d’archi, per due ragioni. Innanzitutto perché c’è un repertorio meraviglioso e curiosamente poco eseguito, e poi perché sarebbe stata l’occasione di incontrarci di nuovo con amici e colleghi con i quali abbiamo condiviso gli anni di formazione e studio, oltre al successivo percorso artistico, spesso condiviso.
Quali messaggi comunicano al pubblico i quintetti d’archi nel Romanticismo?
È molto complesso rispondere a questa domanda. Siamo in un mondo e in un epoca iper tecnologizzata e con tempi di reazione sempre più rapidi. Tutto viene dimenticato in un lasso di tempo brevissimo. Diciamo che il messaggio che vogliamo dare è un invito alla riflessione e al pensare, se possibile lentamente, senza fretta… chiudere gli occhi e provare a fare un tuffo in un mondo che di fatto ora non esiste davvero più, sempre più lontano e sfocato…
Ha avuto grandi maestri. Qual è l’insegnamento più prezioso che ritiene di aver ricevuto in ambito musicale?
L’insegnamento più prezioso ricevuto è stato quello di capire di dover sempre procedere sì con consapevolezza ma, nello stesso tempo, con tanta umiltà. Rimettersi in discussione ogni giorno. Dedicare tutto il tempo possibile alla riflessione e alla propria evoluzione. Valori, e lo dico senza polemica, che purtroppo non riesco più riscontrare nella società odierna. Ma non è colpa dei ragazzi, bensì del sistema che fa credere erroneamente, con l’illusione che si possa avere tutto, subito e senza fatica.
Secondo lei quali sono le doti principali che deve possedere un giovane che voglia intraprendere la carriera di musicista professionista?
Si ritorna alle cose dette prima, ossia: umiltà, perseveranza, studio e soprattutto l’accettazione delle sconfitte, che prima o poi fanno parte del percorso di tutti e che devono dare lo spunto ad apportare i correttivi necessari, per arrivare poi agli esiti che si sperano e si auspicano.
In realtà le dinamiche della società odierna sono cambiate, ma il “tutto e subito” è difficile ora come lo era tempo fa. La resistenza sul lungo periodo è secondo me la dote più importante di un ragazzo che vuole intraprendere la carriera di musicista. Anche isolarsi è molto importante. La musica ha molto di soggettivo, purtroppo e per fortuna. Mai dare troppo peso né ai commenti negativi né alle lusinghe. È importante cercare di conservare sempre un buon equilibrio.
Perche i giovani non frequentano più le sale da concerto? Cosa potremmo fare, in più o anche di diverso, noi organizzatori?
Credo che il problema sia a monte, ossia nella scuola. Siamo uno dei pochi paesi d’Europea a non avere un’educazione musicale adeguata. È curioso tutto questo dal momento che siamo il Paese dell’opera lirica, ad esempio, siamo l’unico Paese al mondo a possedere i teatri nella forma architettonica che conosciamo. A volte penso un po’ come il vecchio detto popolare: “chi ha il pane non ha i denti”…amaro, ma è così.
Cosa possono fare le società di concerti? Anche qui è complesso rispondere. Penso che sarebbe assolutamente necessario connettersi di più con la scuola, con le università con i conservatori di musica. Far sì che siano i musicisti e le società che li ospitano ad andare verso di loro e non il contrario: insomma, uscire un po’ dal nostro mondo recintato, cercare di intessere delle sinergie.
Sarebbe poi fantastico se le società tornassero ad avere come un tempo esclusivamente delle stagioni di musica pura. Il discorso porterebbe molto lontano. Dico solo che il messaggio per chi fruisce, sarebbe infinitamente più chiaro. Bisognerebbe cercare di non farsi prendere dal panico quando il pubblico scarseggia un po’. Può dipendere dalle più svariate ragioni: economiche, ricambio generazionale…
Qual è il suo rapporto con i social media?
Personalmente non ho un rapporto così continuo con i social media. Amo poco il virtuale, in tutta sincerità. Riconosco però la loro utilità, anche dal punto di vista promozionale. L’importante, come tutti i mezzi tecnologici, è dosare il loro utilizzo. A volte ho l’impressione che i social vengano usati con autoreferenzialità. Si torna a tutte le osservazioni fatte prima: credo che la grande novità possa essere un graduale ritorno alla normalità, al pensare, senza influenze esterne.
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