Maestro Corti, come si è avvicinato alla musica antica? Quali stimoli può ancora dare all’ascoltatore contemporaneo?
«Il movimento della cosiddetta musica antica è uno dei fenomeni più interessanti che hanno interessato la musica classica nel secolo scorso. Lo studio delle fonti storiche, l’uso di strumenti il più possibili vicini a quelli dell’epoca, la rivalutazione critica delle tradizioni esecutive otto-novecentesche ma anche la riscoperta di repertori poco conosciuti: questi ed altri aspetti sono stati forti stimoli per interpretazioni nuove ed interessanti di repertori considerati estremamente classici e familiari. Nel mio caso, si sono uniti l’interesse per il repertorio precedente al Romanticismo, che ho sempre sentito molto vicino, e quello per il clavicembalo, che non avendo un vero corrispettivo moderno, mi ha attirato verso il mondo degli strumenti “antichi”. Tutto questo non ha niente a che vedere con un’idea “museale” della musica o dei concerti: la musica, a prescindere dall’anno della sua composizione, è un’arte che vive solo nel momento in cui la si fa ed è quindi sempre contemporanea».
Lei che ha un’esperienza internazionale, nota dei cambiamenti nell’approccio dei musicisti al repertorio antico?
«Ormai il repertorio che va da Monteverdi a Bach è entrato di diritto nelle sale da concerto “classiche” affiancando quello che tradizionalmente veniva programmato (“da Bach fino ai giorni nostri”). Si tratta di un cambiamento molto rilevante: il vasto pubblico è quasi ovunque abituato a vedere Cavalli, Rameau o Telemann affiancare Mozart, Beethoven o Brahms. Resta molto lavoro di sensibilizzazione da fare, ma rispetto a anche solo 30 anni fa la situazione è molto diversa. La ghettizzazione di specifici repertori è qualcosa di sempre pericoloso. Certo, ci sono repertori che difficilmente si possono presentare in sale da concerto moderne, ma l’allargamento del repertorio considerato classico per me è sempre un’ottima cosa. Anche il fatto che molte grandi orchestre sinfoniche si cimentino con repertori antichi e si interessino a modi “diversi” di suonare è qualcosa di molto interessante».
L’Unione Musicale da molti anni ha inserito nei propri cartelloni una serie (l’altrosuono) dedicata alla musica preclassica. Ultimamente abbiamo notato un incremento di interesse verso questo repertorio da parte di molti giovani interpreti e ascoltatori. È un fenomeno generale? Se sì, come lo spiega?
«Mi sembra un fenomeno abbastanza diffuso, e forse dipende dal fatto che il pubblico, soprattutto nelle grandi città, è curioso e non ha paura dei repertori che non conosce. La musica antica automaticamente “profuma” di esotismo, anche solo per il tempo che ci separa inesorabilmente dai suoi creatori. Questo esotismo intrinseco, e magari il gusto della scoperta, sono catalizzatori di interesse che vale assolutamente la pena di sfruttare».
A Torino eseguirà un programma che richiama il suo ultimo album (Bach: Little Books, Arcana, gennaio 2021) e combina alcune importanti opere per tastiera di Johann Sebastian Bach con pagine di musicisti coevi, che ebbero una significativa influenza nella sua vicenda biografica e professionale. Ci racconta quali legami (anche musicali) uniscono gli autori in programma?
«Bach viene spesso descritto come un genio un po’ isolato, un creativo eccezionale costretto dai casi della vita a operare nell’isolamento di piccole corti o in città provinciali. Questa immagine è in gran parte fuorviante. Mi è sembrato interessante mostrare quale rete di relazioni musicali legasse Bach ai suoi contemporanei, e quanto egli fosse, in tutte le fasi della sua vita, immerso nel panorama musicale del suo tempo. La Germania della prima metà del XVIII secolo assorbe e assimila moltissime influenze dai paesi stranieri, e dalla distillazione di queste influenze deriva quello che sarà lo stile tedesco, declinato in modo diverso nelle varie parti del Paese e dai diversi compositori. Ho preso come filo conduttore per questo lavoro i vari quaderni musicali di casa Bach, sia quelli probabilmente usati dal giovane Johann Sebastian per formarsi, sia quelli che ci testimoniano la sua attività didattica, o anche solo semplicemente la pratica musicale “domestica” di questa straordinaria famiglia musicale. È stato anche un modo per poter mostrare al pubblico repertori (penso a Kuhnau o Böhm ad esempio) che pur essendo di altissimo livello musicale, faticano a trovare un loro spazio nelle programmazioni concertistiche».
Qual è l’importanza delle “copie domestiche” nel catalogo bachiano?
«La grande maggioranza del repertorio per tastiera di Bach è giunta fino a noi grazie alle copie “domestiche”, spesso eseguite dagli allievi: lo studio presso un maestro all’epoca comprendeva di norma il diritto di copiare le sue composizioni. Ebbene, queste copie sono spesso le sole sopravvissute a tramandarci questo repertorio, che altrimenti sarebbe perduto. Non tutti i compositori all’epoca prendevano il rischio di pubblicare a stampa i loro lavori, essendo questa un’attività economicamente pericolosa e piena di insidie: la copia a mano era ancora il mezzo più comune per ottenere un brano. Tuttavia queste fonti non ci trasmettono solo i brani: quando esistono più copie dello stesso brano, spesso differiscono significativamente. Per brani come le Suite Francesi, ad esempio, si devono considerare almeno due filoni di trasmissione, e una loro sintesi è spesso impossibile. Ritengo questo fenomeno di grandissimo interesse. Lontano dall’immagine dell’opera d’arte come qualcosa di perfettamente fisso e immutabile nel tempo, frutto del genio del momento, la lenta maturazione di un brano e la convivenza (apparentemente pacifica!) di diversi livelli della vita del brano stesso, ci fanno riflettere sul lavorio artigianale di geni indiscussi come Bach, e della fondamentale flessibilità di questi repertori. E magari ci autorizzano ad un’interpretazione un po’ più coraggiosa».
Lei è un solista di fama internazionale, insegna clavicembalo alla Schola Cantorum Basiliensis e dirige ensemble dediti alla musica antica come il Pomo d’Oro. Quali consigli si sente di dare a un giovane che desideri approfondire il repertorio barocco?
«Il movimento di riscoperta e rivalutazione della musica antica nasce da un forte bisogno di novità, di rottura degli schemi, di scoperta, e si nutre di un profondo lavoro di ricerca e di meditazione sul significato dell’arte del passato. Questi valori sono a mio avviso fondamentali e stanno alla base del grande impatto che questo movimento ha avuto. Quello che mi auguro è che le nuove generazioni non si stanchino e non si si accontentino dei risultati che le generazioni passate hanno potuto ottenere. Ci auguriamo tutti di cuore che i giovani possano trovare soluzioni “altre” e sorprendenti, che ci facciano riflettere e magari che dimostrino che abbiamo avuto torto! Sicuramente rimane molto lavoro da fare, musica da salvare dalla polvere degli archivi e repertorio classico da presentare in modo nuovo. Quindi direi: studiate, riflettete, e quando vi sentite pronti, volate con le vostre ali e rischiate!»
Intervista raccolta da Laura Brucalassi per l’Unione Musicale