Maestro Bronzi, come nasce il progetto “Defense de la basse de viole“?
L’occasione è l’amicizia di vecchia data che mi lega a Vittorio Ghielmi, ora mio collega come docente al Mozarteum di Salisburgo, con il quale mi sono sempre confrontato con grande interesse su questioni musicali. Nonostante io suoni il violoncello barocco da quando avevo 13 anni, non lo considero la mia “madrelingua”, lui invece è sempre stato un interprete di riferimento di questo repertorio, pur con una visione totalmente calata nella contemporaneità. Non so se lui ne sia contento, ma lo considero un po’ un mio Doppelgänger, per l’esperienza speculare alla mia. Chi meglio di lui, dunque, per mettere in scena questo confronto?
Il progetto dello spettacolo nasce dall’idea giocosa di realizzare una sfida tra viola da gamba e violoncello, strumenti apparentemente simili e in realtà così diversi da aver avuto in tempi passati fan e detrattori, schierati secondo una contrapposizione persino ideologica. Ne dà precisa testimonianza lo straordinario trattato Defense de la basse de viole contre les entréprises du violon et les prétentions du violoncel del 1740 scritto dal parigino Hubert Le Blanc che, da avvocato qual era, realizza un’arringa difensiva della viola da gamba, lo strumento che in quel momento stava soccombendo (e che poi storicamente in effetti “avrà la peggio”).
Nel primo Settecento a Parigi stavano prendendo piede i primi Concert Spirituel, concerti a pagamento aperti non solo alla nobiltà ma – orrore! – anche alla borghesia. Nel trattato sono evidenti la componente nazionalistica e la polemica legata alla lotta tra classi sociali e si percepisce inoltre il fastidio che dovevano provocare nella nobiltà francese i musicisti italiani prezzolati, che osavano presentarsi a Parigi (allora la capitale del mondo) per realizzare questo tipo di esibizioni con il loro carico di esperienze e di abitudini completamente diverse dal gusto della “chambre du roi”, dove la musica era per luoghi più raccolti e per un pubblico nobile. Questo è il periodo in cui si fa strada l’idea del concerto come spettacolo, realizzato da virtuosi intenzionati a mettersi in mostra, cosa che doveva essere percepita come pratica un po’ stucchevole rispetto al carattere di sofisticato del goût di corte.
Il testo di Le Blanc è molto divertente e acuto, ma l’autore tifa apertamente per la viola. Il violoncello viene descritto come uno strumento con le «corde grosse come le gomene di un vascello» e fa fatica a farsi le sue ragioni; insieme al clavicembalo fa parte degli alleati (e poco meno che servi) di Sultan Violino.

Il differente approccio verso gli strumenti antichi e quelli moderni non è poi così lontano dalla nostra esperienza…
Lo specialismo di chi si occupava di ricerca storica sulle prassi esecutive, vissuto dagli Anni Settanta come una crociata, può essere considerato un’esperienza compiuta, dalla quale oggi non si può prescindere. Attualmente beneficiamo del patrimonio di conoscenze che sono derivate da quell’esperienza, ma certamente possiamo farlo convivere con l’esecuzione su strumenti moderni anche della musica antica.

Come vengono utilizzate sulla scena le differenze tra gli strumenti?
Nello spettacolo si gioca volutamente con questo aspetto, che è particolarmente stimolante perché suggerisce molto anche in termini di estetica. È curioso notare che la stessa pagina, suonata da violoncello e viola da gamba anche nello stesso registro, assume un carattere completamente diverso, forse banalizzando possiamo dire uno estroverso e l’altro più introverso. Si tratta di caratteri differenti insiti negli strumenti stessi, che danno forma al repertorio e un po’ incidono anche sul temperamento dei musicisti.
Io suono sia il violoncello “antico”, sia quello “moderno” e devo ammettere che lo strumento antico, pensato per fare musica in spazi più raccolti di molti auditorium di oggi, è decisamente più faticoso perché l’interprete deve fare i conti con l’umoralità delle corde in budello; tuttavia la fatica è ripagata da una innegabile componente poetica del suono.
Frans Bruggen una volta mi disse che era come andare a far legna con una scure invece che con la sega elettrica. Tanta fatica, ma si può udire il suono degli uccelli…

Come tutto questo verrà realizzato concretamente sulla scena?
La voce recitante di Luciano Bertoli leggerà alcuni estratti del trattatello di Le Blanc e gli strumenti saranno ai due lati della scena, a mimare l’antagonismo descritto dal testo. Tuttavia abbiamo aggiunto un’idea che nel testo non è presente: trovare una riconciliazione finale, mixando le improvvisazioni sulle follie italiane (Vivaldi) e francesi (Marais). E finalmente suoneremo insieme!

In questo spettacolo la musica a chi assegna la vittoria? Violoncello o viola da gamba?
Le Sonate per violoncello e continuo di Geminiani sono di una bellezza assoluta, ma le musiche di Marais e Forqueray hanno oggi per noi uno charme straordinario e contengono, per l’ascoltatore moderno, persino un tratto quasi esotico, nel senso che si tratta di musica più lontana dall’esperienza ordinaria.
Geminiani dal canto suo è un autore affascinante e sorprendente perché molto irregolare: la costruzione delle sue frasi musicali è imprevedibile e visionaria e, pur essendo quasi contemporaneo degli altri autori, presenta caratteristiche molto differenti. Geminiani inoltre viene preso di mira (in buona compagnia) nel trattato di Le Blanc perché è un perfetto rappresentante di coloro che portarono la musica italiana nel mondo: partì da Lucca ma compì ampie esperienze internazionali; le sue Sonate vennero pubblicate in Olanda e a Londra e fu autore di un trattato sul violino molto riconosciuto in Europa.