Racconta tre momenti decisivi nella tua carriera da musicista.
«È sempre difficile ridurre a pochi momenti la carriera del musicista, perché è un processo lungo e probabilmente infinito, costellato da tante piccole scoperte. Però ci provo lo stesso.
Per primo, più che un momento mi vengono mente i tre anni in cui ho studiato sotto la guida di Benedetto Lupo all’Accademia di Santa Cecilia. In questo periodo ho abbracciato un approccio totalizzante nei confronti della musica: ho imparato a canalizzare tutto il mio vissuto nelle mie esecuzioni, ma soprattutto a servire la musica, piuttosto che a servirmi di essa.
Il secondo momento importante risale a qualche anno fa, quando ho assistito a un concerto di Maria João Pires in cui eseguiva una Sonata di Mozart e la D.960 di Schubert. Non so dire a parole perché sia stato così rilevante, ma ricordo molto bene la sensazione che ho provato dalla prima all’ultima nota dell’esecuzione. Quando sono uscito dalla sala, era evidente che qualcosa in me era cambiato. È probabile che il concerto si sia inserito in un momento decisivo per la mia vita da amante della musica e da musicista.
L’ultimo momento è molto recente e riguarda la mia vittoria al concorso Lois Sigall in Cile, il riconoscimento pianistico più importante del Sud America, che si è tenuto i primi di ottobre di quest’anno. Il traguardo mi ha portato una grandissima gioia, anche perché sono molto legato a questo Paese per motivi personali. Ho imparato a conoscerlo nel tempo e mi sorprende sempre l’entusiasmo che il pubblico giovane manifesta nei confronti dell’evento, ma soprattutto verso la musica in generale».

Quale brano del programma preferisci e perché?
«L’op. 65 in sol minore per violoncello e pianoforte di Chopin mi ha sempre affascinato per la sua grandezza e unicità. È l’unico brano per duo dell’autore ed è uno degli ultimi che ha composto prima di morire».

 Quali sono gli aspetti più coinvolgenti nell’eseguire questa Sonata di Chopin? E quali i più difficili per l’interprete?
«Forse gli aspetti più coinvolgenti sono proprio quelli più difficili per gli interpreti, legati alla coesistenza e sovrapposizione del ricco materiale musicale. Lo scambio continuo tra pianoforte e violoncello richiede anche all’ascoltatore una particolare attenzione che viene, però, largamente ricompensata dalla bellezza della sonata».

A quali esecuzioni ti sei ispirato per suonare questi brani?
«Per quanto riguarda la sonata di Poulenc mi sono ispirato a un concerto live che amo in modo particolare della pianista Martha Argerich e il violoncellista Mischa Maisky. Per Chopin, a costo di risultare monotono, segnalo il disco con l’esecuzione di Rostropovich sempre affiancato da Martha Argerich».

Consiglia un brano per chi ama la natura
«Il primo brano che mi viene in mente è la Sinfonia n. 3 di Mahler, un’opera monumentale con cui il compositore dipinge un affresco che rappresenta la natura nella sua totalità, dalla genesi della vita fino a Dio. Nelle prime stesure della Sinfonia, è presente un programma scritto dallo stesso Mahler in cui descrive i sei movimenti da cui è composta ed esprime i suoi intenti. Anche se questo testo viene poi viene cancellato dall’autore nelle versioni successive, l’idea sicuramente rimane ed è molto chiara per chi ascolta. Anche qui si tratta di un brano che richiede tempo e non di così facile ascolto. Forse è la sinfonia più lunga che sia mai stata scritta, ma conduce in un viaggio unico e permette di vivere un’esperienza che augurerei a chiunque».

È possibile ascoltare la Sinfonia n. 3 di Mahler su Spotify qui o su Youtube qui.

Intervista a cura di Camilla Fiz
parte del team di giovani coinvolti nel progetto speciale “Creatività condivisa” e impegnati nella produzione e comunicazione della serie Green Notes