Maestro, come nasce il programma che eseguirà a Torino?
In realtà è un programma diviso in due parti; nella prima continuo ad esplorare la musica di Schumann per pianoforte, come avevo già fatto alcuni anni fa a Torino, avvicinando due opere di Schumann meno eseguite, come Blumenstück op. 19 e le Tre Romanze op. 28, alla più nota Seconda Sonata op. 22; nella seconda parte invece mi dedico a due Sonate molto importanti del repertorio russo tardo-romantico. In realtà, al di là del nesso casuale collegato al numero “due”, tutte e tre le Sonate in programma hanno un carattere molto tempestoso.
Le tre opere di Schumann hanno fortissimi legami tra loro e condividono più o meno lo stesso periodo creativo pur presentando sfumature molto diverse; si avverte la fascinazione di Schumann in quel periodo per il Lied e, allo stesso tempo, l’esigenza di misurarsi con le forme del Classicismo. Quest’esigenza è stata sicuramente da lui vissuta in modo assai tormentato e, non a caso, la Seconda Sonata è l’ultima scritta per pianoforte ed è quella più coincisa e, direi, persino “bruciante” nel suo percorso narrativo, avendo come unico momento di relativa quiete proprio la rielaborazione di un Lied che Schumann non aveva pubblicato. Blumenstück è un rondò, quindi ancora una volta si tratta di una forma assai usata nel classicismo, ma in questo caso la forma del rondò è utilizzata in modo irregolare; il brano, con le sue ripetizioni e la sua cantabilità, suggerisce un’atmosfera intima e liederistica, quasi da racconto, sicché ancora una volta le necessità formali e lo slancio liederistico si compenetrano. Il titolo stesso delle Tre Romanze non lascia dubbi sulle intenzioni di Schumann nello scrivere questi brani, anche se la terza romanza, anch’essa più un rondò che una romanza, rimanda alle atmosfere narranti delle novellette.
Per quanto riguarda le due sonate “russe” che formano la seconda parte del programma, anche qui il rapporto con la forma-sonata appare piuttosto tormentato e porta ad esiti molto diversi; una sonata-fantasia in due movimenti nel caso di Skrjabin e una sonata in tre movimenti ma senza soluzioni di continuità nel caso di Rachmaninov, con uno sviluppo ciclico dei temi che sembra avere forti connotati simbolici. Nell’ascolto poi si evidenzia subito la presenza di “rintocchi” insistenti e a volte ossessivi sia in Skrjabin che in Rachmaninov, oltre ad una scrittura pianistica ad “ondate”, che in Skrjabin sembra quasi descrittiva (lo stesso Skrjabin scrisse di essere stato ispirato dal mare mentre scriveva la Sonate-Fantaisie op. 19). L’acceso linguaggio tardo-romantico, a volte tragico o persino allucinato, è sicuramente un tratto che accomuna le due sonate di Skrjabin e Rachmaninov.

A quale brano è più affezionato e perché?
In realtà sono molto legato, per varie ragioni, a tutti i brani in programma ma, se parliamo di “affetto”, propenderei forse per il pezzo più breve e “fragile”, il Blumenstück di Schumann, il “pezzo-fiore”, per il suo slancio poetico e intimo, che lo fa apparire proprio come un fiore delicato; a me sembra davvero che, durante il brano, si dipani un racconto sulla vita di un fiore e, se penso che stiamo parlando di un compositore che proprio su questo tema ha scritto dopo alcuni anni un oratorio bellissimo, “il pellegrinaggio della rosa”, mi sento ancor più confortato in questa mia impressione.

Ha avuto molti grandi maestri: qual è l’insegnamento più prezioso che ritiene di aver ricevuto?
Avere il coraggio delle proprie idee, anche quando sono impopolari.

Lei è anche un apprezzatissimo docente: quali sono le doti principali che deve possedere un giovane che oggi intenda intraprendere la carriera pianistica?
Al di là delle indubbie doti strumentali, oggi un giovane che voglia intraprendere la carriera pianistica deve essere assolutamente innamorato di quel che fa ed essere disposto anche a sopportare dei sacrifici per questo, se necessario; deve avere coraggio, perseveranza e la capacità di sognare mantenendo comunque i piedi ben saldi per terra.

Lei ha suonato in tutto il mondo. All’estero è diversa la partecipazione dei giovani ai concerti di musica classica?
Recentemente sono rimasto molto colpito dall’abbondanza di giovani nelle principali sale da concerto di Città del Messico; sale molto grandi, molto belle e molto diverse tra loro per architettura e storia. Mi è stato spiegato che c’è una politica dei prezzi che rende i concerti estremamente appetibili, quasi allo stesso livello di una serata al cinema, ma credo che ci siano anche altri fattori in questo successo di pubblico.

Secondo lei perché i giovani non frequentano molto la musica classica dal vivo? Che cosa potremmo fare in più noi organizzatori?
Senza addentrarmi in analisi che non saprei portare a termine e concentrandomi unicamente sulla mia esperienza con giovani studenti di musica, credo che si debba rendere sempre più forte il legame con la fruizione del concerto dal vivo, alla cui importanza andremmo tutti rieducati: va riscoperto il piacere della condivisione del bello con gli altri, in una forma più sociale e meno isolata rispetto all’ascolto con strumenti di riproduzione; è importante essere coscienti dell’unicità delle forme di spettacolo dal vivo rispetto ad altre forme di intrattenimento. E’ un discorso complesso, c’è tanto lavoro da fare in merito ma, per quanto riguarda i musicisti “praticanti”, direi che non si può solo puntare il dito al poco o nulla che si fa nelle scuole per alfabetizzare musicalmente gli studenti, se poi, negli stessi conservatori, l’ascolto di musica dal vivo non è percepito come un valore centrale e fondante nella formazione di un musicista e, direi persino, come un momento imprescindibile nel curriculum di studi.

Secondo lei che ruolo gioca la musica nello sviluppo di una persona, anche se non diventerà mai un musicista?
Immenso, ma non sono io a dirlo; ci sono tante ricerche scientifiche che dimostrano come lo studio della musica sviluppi qualità che tornano utili anche in altri campi.

Qual è il suo rapporto con i social media?
Sono un disastro, ma non dispero di recuperare! Ne apprezzo sicuramente le potenzialità di diffusione delle informazioni, ma sono sufficientemente disincantato per vederne anche i rischi; non sono convinto che a livello relazionale i social media creino un vero miglioramento della qualità nelle relazioni, al massimo aumentano il numero delle stesse.