Come è cambiata la vostra carriera dopo la vittoria dei concorsi nazionali e internazionali ai quali avete partecipato?
Alessandro: I concorsi rappresentano sicuramente un possibile trampolino di lancio per le carriere di giovani musicisti come noi, anche solamente per gli incontri che ne derivano, e in qualche modo i riconoscimenti ricevuti nei concorsi che abbiamo affrontato ci hanno aiutato ad acquisire consapevolezza delle nostre capacità e fornito contatti e visibilità. Lo sviluppo della carriera di un giovane ensemble tuttavia si fonda su altre basi, come lo studio serio, le prove sistematiche e la capacità di approcciarsi ai vari stili e compositori derivata da un attento e rigoroso studio della partitura e della conoscenza delle caratteristiche e background sociale del compositore stesso.
Pensiamo sia importante, per un giovane musicista, non dare troppo peso al risultato dei concorsi ai quali si partecipa in quanto dipendente sempre da una combinazione svariata di fattori ma, nel frattempo, assicurarsi di avere sempre una consapevole e fondata interpretazione e una personale visione musicale: elemento che rende un musicista, un artista.

Una ricca esperienza musicale fatta di canto, ascolto e movimento pare che porti vantaggi molto significativi ai bambini anche per l’apprendimento di altre discipline. Secondo la vostra esperienza di giovani musicisti, si differenzia chi ascolta o studia musica da chi non lo fa?
Lena: Credo che la musica sia un linguaggio speciale, che si impara meglio da piccoli. Per diventare un musicista professionista bisogna ovviamente acquisire la piena consapevolezza della sua grammatica, ma la musica ha un grande vantaggio: comunica direttamente al cuore delle persone, indipendentemente dalla loro provenienza.
La musica d’arte aiuta a sviluppare la creatività nei bambini. I miei genitori mi facevano vedere i video delle opere, dei balletti oppure dei concerti da quando avevo un anno, forse anche prima; mi divertivo tantissimo.
Una delle mie opere preferite era “La Traviata”. Non capendo bene il significato, né la lingua originale, né i sottotitoli in Giapponese, ascoltando la musica inventavo io una storia nella mia testa (credevo che Violetta fosse una principessa!); poi l’ho compresa in seguito, da grande, ma il primo ascolto rimane un’emozione che mi porto dietro da allora.
Per apprezzare la musica ci vuole la fantasia. Forse, oggi, è una cosa che manca a troppi bambini, che hanno a disposizione i mezzi tecnici più avanzati, Smart Phone, Video Giochi, cinema in 3D o in 4K estremamente realistico e forse proprio per questo usano poco l’immaginazione. Far avvicinare i bambini piccoli alla musica, magari aiutandoli un po’ nell’ascolto, ti fa rendere conto di quanto sia grande in realtà la loro capacità interpretativa e creativa.
Basta chiedere loro di pensare ai canti degli uccellini prima di suonare la Primavera di Vivaldi: loro comprendono subito e con un po’ di tempo sono capaci di affrontare pezzi ancora più impegnativi. In altre parole, quando uno cresce con questa abitudine all’ascolto, sviluppa una mente che è già allenata a reagire a stimoli complessi e quindi penso che possa diventare un adulto migliore, in ogni campo lavorativo.

Come cambia l’ascolto (e l’interpretazione) della musica classica nell’era digitale, in cui la fruizione dei contenuti è estremamente veloce? Ha ancora senso l’ascolto di un concerto dal vivo?
Diego: L’era digitale da un lato ha fornito un grande vantaggio: chiunque può, in qualunque momento, avere accesso a miliardi di file di contenuti musicali, audio, video o anche partiture.
L’intero sapere è a portata di clic, però, d’altro canto, c’è una cosa che la tecnologia non potrà mai regalare: l’emozione dell’ascolto dal vivo. Anche il miglior supporto audio non è in grado di replicare le vibrazioni autentiche di una nota di un violoncello, o di un violino, suonata da un musicista in carne ed ossa a pochi metri dalla poltrona di una sala da concerto. Vibrazioni che senti veramente nel corpo, nell’aria e sotto i piedi, non solo nelle orecchie.
La musica da camera poi è un’esperienza bellissima soprattutto dal vivo, perché in un unico gruppo con una sua identità, il trio in questo caso, convivono le anime dei singoli musicisti. È interessante nell’ascolto seguire le linee individuali oppure l’insieme, passando dal violino al violoncello al pianoforte: gli strumenti si parlano e si rispondono a vicenda, oppure cantano con un’unica voce. C’è un’insostituibile libertà e varietà, quindi, nella fruizione dello spettacolo.

Che cosa direste a un vostro coetaneo per convincerlo a partecipare al vostro concerto?
Alessandro: Diremmo di prepararsi a venire al concerto esattamente come ci si prepara per un viaggio. Ogni concerto è un viaggio tra paesaggi, stati d’animo ed emozioni che uniscono chi suona e chi ascolta e ogni viaggio ha una sua storia. Il progresso intorno a noi è una cosa meravigliosa , come dicevamo poco fa, e rende tutto veloce e immediato: abbiamo subito a portata di mano (o di smartphone) tutto ciò che ci serve. La musica ha mantenuto invece nel tempo il suo meraviglioso linguaggio e significato, a volte non esprimibile nemmeno a parole ma, proprio per questo forse, più libero, attuale e capace di comunicare direttamente con il nostro intimo.
La musica ci permette di goderci il momento, di godere del viaggio invece di arrivare alla meta il più velocemente possibile. Approfitterai di questa opportunità? Ci vediamo al concerto!

Intervista raccolta da Laura Brucalassi per l’Unione Musicale