Maestro, come è nata la sua collaborazione con Luigi Lo Cascio? Avete in programma altri progetti insieme?
Lo spettacolo nasce da un’idea di Elena Marazzita che ha fatto leggere il mio libro a Luigi: egli se n’è appassionato ed è nata l’idea di narrarlo insieme alla musica di Vivaldi. La voce di Luigi, i suoi tempi narrativi e la sua capacità di dar vita a un testo si sono rivelati uno strumento straordinario al servizio delle mie parole.

Le vicende raccontate in L’affare Vivaldi hanno tutte un fondamento storico, come lei stesso ha precisato. Come ha ricostruito queste incredibili peripezie? Dove invece è intervenuta la sua fantasia?
È una storia vera, una storia dimenticata da tutti: Vivaldi è sparito dalla memoria del mondo per quasi duecento anni e i suoi manoscritti hanno rischiato più volte di essere distrutti o dispersi. Inizialmente volevo scrivere un saggio su questo argomento, ma la storia stessa, con le sue incredibili peripezie, era già di per sé un romanzo. Ho quindo scelto questo genere letterario per dar vita ai moltissimi protagonisti di quest’affresco. Certo, quando si fanno parlare persone scomparse bisogna per forza inventare e in un romanzo storico una dose di fantasia è sempre necessaria. Io l’ho ristretta al minimo indispensabile e ne do conto nel dettaglio in una postfazione che il lettore può – se vuole – leggere per sua curiosità.

Secondo lei la popolarità delle Stagioni giova alla conoscenza di Vivaldi o la ostacola? Quali le ragioni musicali di tanto successo?
Domanda intelligente. Le Stagioni sono, paradossalmente, l’emblema della grande popolarità di Vivaldi e forse il maggior freno alla sua conoscenza: si crede che oltre a queste ci sia poco da ascoltare o da sapere, mentre il corpus della musica vivaldiana è gigantesco e tuttora ignoto alla gran parte del pubblico (e, purtroppo, degli stessi esecutori!). Il successo di Vivaldi inizia là dove finisce la storia del mio libro: dopo la Seconda Guerra Mondiale inizia la grande divulgazione e la frenesia di conoscere un autore così prolifico quanto nuovo. E, come in tutte le divulgazioni, nascono gli emblemi e le preferenze: le Stagioni e alcuni titoli strumentali sono diventati la bandiera di Vivaldi, una bandiera che però fa ombra sulla musica sacra e su quella teatrale, ancora da dissodare.

La musica di Vivaldi si ascolta inconsapevolmente nelle pubblicità, nei cartoni animati o nelle serie tv… Che cosa può essere utile per favorire il contatto del pubblico (in particolare giovane) con la musica classica?
Non sono fra quelli che si scandalizzano se trovano Vivaldi in un jingle pubblicitario o il David di Michelangelo in una réclame di pannoloni: le opere d’arte divenute popolari si trasformano in icone che prescindono dalla giusta fruizione e contestualizzazione. Quello che è necessario fare è ristabilire l’ordine delle cose, far capire che Vivaldi non è lì, raccontare il contesto, divulgare le opere meno conosciute, fare innamorare la gente con la sua musica molto più profonda di quel che si crede. Col mio libro ho provato a fare questo e sono felice quando scopro che molte persone, dopo averlo letto, sono corse ad ascoltare quel versetto In memoria æterna che attraversa come un leitmotiv tutto il libro e rivela un Vivaldi totalmente diverso dalla vulgata.

Come si è avvicinato alla musica antica? Quali stimoli può ancora dare all’ascoltatore contemporaneo?
La musica non è mai antica: ciascun periodo della storia musicale diventa attuale e vivo se eseguito con correttezza filologica e passione. Io sono fieramente contrario ai pasticciamenti, alle “attualizzazioni” e alle riletture modernizzate: ogni epoca musicale deve essere restituita a sé stessa e a noi secondo l’estetica e le modalità interpretative del suo periodo: solo in questo modo ogni musica – da Ockegem a Carosone – può diventare viva e continuare a parlare.

Intervista raccolta da Laura Brucalassi per l’Unione Musicale