A colloquio con Chiara Caligaris, musicista che realizza i laboratori Ateliebebè.
Nei laboratori Ateliebebè utilizzate la Teoria dell’Apprendimento Musicale (Music Learning Theory), che raccoglie le osservazioni e le ricerche svolte dal prof. Edwin Gordon. Per chi non la conosce, quali sono i punti di forza di questa teoria?
Sì, la MLT(Music Learning Theory) è davvero stata una scoperta meravigliosa nella mia vita e nella mia formazione da musicista! Concentra in sé molti aspetti sia educativi sia musicali che si sposano molto bene insieme e offrono sia agli insegnanti sia ai bambini uno spazio che è difficile trovare nella quotidianità. I punti di forza di questa metodologia sono principalmente:
la proposta di canti senza parole, che permette quindi di staccarsi dal mondo adulto e ripescare la parte infantile, utilizzando un linguaggio non fatto di parole ma di emozioni e di risposta a bisogni primari che un bambino vive ogni giorno, mettendosi al suo stesso livello;
- fare dei bambini i veri protagonisti: questo obiettivo è molto sottile ma è la chiave di volta dell’approccio gordoniano. Sono i bambini infatti che attraverso le loro proposte naturali, essenziali e semplici danno a noi musicisti il “LA” per creare una proposta sonora. Prima si crea il contesto, diceva Gordon, e poi il contenuto. Sono i bambini stessi gli attori di queste lezioni concerto;
- il setting: la creazione di un’atmosfera che alterna canti e silenzio, perché anche il silenzio è musica, ma soprattutto è “attivo”, cioè è uno spazio di apprendimento e riflessione che viene dato al bambino per rielaborare ciò che ha ascoltato, per farlo suo e perché no, per dare una sua risposta spontanea ma “musicale”.
Quali sono gli obiettivi di questi laboratori “immersivi”?
Sono numerosi gli obiettivi che vengono prefissati all’interno di queste esperienze concertistiche, ma quella che forse li racchiude tutti è far percepire che la musica sia un linguaggio che si può apprendere senza bisogno di grandi competenze. Mi spiego meglio, Gordon definisce la musica come un linguaggio universale, il cui apprendimento non è legato a competenze ma a passaggi ben definiti che lui individua in guida informale e formale.
Nello stadio di informalità (0-3 anni) chi guida i laboratori non insegna nulla ma si mette in una posizione di “ascolto” e quindi accoglie le proposte che arrivano dai bambini e, a partire da quelle, crea un linguaggio. La guida dunque si pone nella posizione non di insegnante ma di ascoltatore e creatore di un contenuto suggeritogli dai bambini stessi.
Per la tua esperienza umana e professionale quale pensi che sia il ruolo della musica nella crescita di un bambino?
Credo che sia quello di dare la possibilità a chi lo desidera di esprimere ciò che ha nel profondo e farne dono agli altri, ricercando in sé il modo più giusto per farlo; la musica permette di sperimentare a 360°, in varie dimensioni e a più livelli – interiore, personale, pubblico e manifesto – i nostri punti di forza e le nostre debolezze. Non parlo esclusivamente di emozioni, ma di vita quotidiana, di esperienze educative.
Il bambino ha bisogno di una dimensione in cui poter nuotare, sguazzare, ma anche dove percepire sensazioni di paura, di attenzione, come un pesciolino immerso nel mare, ecco… per Chiara bambina, la musica è stata come un mare in cui sguazzare e che, da una piccola boccia, è diventato un mare immenso di esperienze significative, che hanno contribuito a rendermi quella che sono oggi.
Quali sono le opportunità per chi come voi si rivolge ad un “pubblico” di bambini? Quali i rischi?
Le opportunità sono innumerevoli: in primis poter tornare bambini e potersi dare completamente senza filtri o maschere che invece nella quotidianità ormai usiamo troppo spesso, a volte dimenticandoci chi invece realmente c’è dietro quei “travestimenti”.
I bambini danno l’opportunità a noi di non giudicare una performance, perché non siamo lì per creare qualcosa di performativo ma per “educare” attraverso la musica, trasmettere loro il nostro amore per la musica e ricevere dai bambini stessi la conferma che è ciò che desideriamo fare.
Rischi ce ne sono altrettanti: quando si lavora con un’età ancora così genuina, lo sbaglio più grosso è quello di creare delle forzature. Per esempio un errore che possiamo commettere noi adulti è quello di non metterci a livello dei bambini ma aspettarci che loro “facciano”, che loro “ascoltino”, che loro “apprendano”… ecco questo è il rischio più grande e non riguarda il bambino ma l’adulto che intraprende questo percorso di formazione. “Per educare è importante essere!” questa frase è scolpita in me ogni giorno: se tu sei lo specchio del messaggio che vuoi portare, sii certo che potrai portarli in capo al mondo.
Qual è il tuo rapporto personale con la musica? Che cosa preferisci ascoltare/eseguire?
La musica per me è stata la chiave d’espressione più importante della mia vita e che mi ha accompagnata fin da quando ero piccola! Non solo ha rappresentato per me uno strumento e un linguaggio naturale, ma mi ha permesso sempre di vivere affrontando ogni esperienza come quando si ascolta un brano. Se un brano non lo conosci… ti metti in ascolto! Sì, ci saranno delle cose che ti piacciono e altre no, ma sai che quando lo riascolterai per una seconda volta comunque sarà diverso, noterai delle sfumature, proverai delle emozioni diverse dalla prima volta pur non perdendone il ricordo. Le esperienze della mia vita sono state esattamente così: mi piace mettermi in ascolto osservando e dandomi un po’ di tempo per riflettere e pensare prima di agire.
Ho sempre ascoltato diversi generi musicali perché credo che solo così io possa davvero capire quali mi catturano di più! La mia formazione conservatoriale ha fatto sì che per un periodo lungo della mia vita mi sia trovata a suonare musica classica ma, essendo percussionista, ho poi sperimentato anche musiche etniche, rock, jazz, alternative.
Insomma se dovessi proprio sceglierne una di queste, ciò che adoro ascoltare è la musica corale polifonica, fatta da incastri di voci e momenti dove ognuno diventa protagonista della scena corale con la sua voce e la sua sezione.
Quali brani musicali o quali compositori/cantautori ti piacevano particolarmente da bambino? E oggi?
I primi brani che ho ascoltato da bambina erano di Fiorella Mannoia, Jovanotti e dei Neri per Caso! Sono tutti appartenenti a generi differenti, e mi hanno permesso subito di capire che la musica può davvero arrivare in mille modi differenti e ogni cantante, cantautore o gruppo musicale può farne una meraviglia!
Oggi i miei gusti musicali non sono molto cambiati; continuo ad ascoltare diversi generi e, cantando in un coro polifonico, ascolto molti arrangiamenti moderni e partiture antiche, dai Pentatonix a Whitacre, da Palestrina a Mika, da Elisa a Monteverdi… Se la musica è così ricca perché precludersi la possibilità di ascoltare e variare?