Con questo concerto inizia all’Unione Musicale un ciclo su tre stagioni dedicato a Schumann e Schubert. Come sono stati scelti i brani che omaggiano questi due grandi compositori romantici?
Ho seguito il desiderio di approfondire la mia frequentazione di Schubert, dopo aver lavorato su pezzi brevi e densi come Improvvisi e Momenti Musicali e soprattutto dopo aver affrontato le ultime tre grandi Sonate; il ciclo delle Sonate, che vorrei completare nel prossimo triennio, è un modo per immergermi profondamente nei misteri di una scrittura apparentemente limpida, ma percorsa da inquietudini e rovelli modernissimi…
Schumann fu entusiasta artefice della postuma riscoperta di Schubert, rivelando una profonda condivisione spirituale con il genio schubertiano. Anche se molte sono le differenze biografiche e di contesto, molti aspetti avvicinano i due autori: la libertà creativa che si intesse nella trama di un artigianato sapiente, il lirismo e le improvvise accensioni drammatiche, l’alternanza tra grandiosi finali e attoniti spegnimenti nell’abisso del silenzio. Ho scelto quindi di accostare alle Sonate di Schubert lo Schumann della meravigliosa fioritura pianistica degli anni Trenta, che comprende capolavori assoluti.
E lo faccio a partire dalla Fantasia op. 17, che propongo insieme alla Wanderer-Fantasie, che ha la struttura di una grande sonata ciclica.

Risale al 1982 la sua prima apparizione in una stagione dell’Unione Musicale, cui sono seguite, come solista o camerista (indimenticabili gli anni degli Incontri con la musica da camera), quasi un centinaio di presenze. Cosa rappresenta per lei tornare ogni volta a Torino?
Un ritorno a casa… Come in ogni ritorno, c’è sempre il desiderio di scegliere i doni giusti per chi mi accoglie, proprio in considerazione dell’affetto che sento intorno a me da tanti anni. A Torino ho mosso i primissimi passi (avevo diciassette anni…) ma non solo: la scoperta della musica da camera è stata il grande regalo che mi hanno fatto gli Incontri e anche il progetto dell’integrale delle Sonate beethoveniane (molte delle quali suonavo qui per la prima volta!) che all’Unione ho registrato dal vivo, è stato una sollecitazione di cui sono grato agli amici torinesi.

Lei è musicista, insegnante e anche genitore e il suo impegno didattico la vede presente a sostenere vari progetti a favore dei giovani. Come si può favorire il contatto di bambini e ragazzi con la musica classica?
Non penso ci sia una ricetta precisa e sempre riproponibile, credo piuttosto sia da accogliere ogni esperienza che porta un frutto, provando a ripensare continuamente al modo in cui l’incontro con la musica possa essere felice: mi sembra che ci siano attualmente progetti efficaci sia per la pratica musicale sia per l’ascolto, specialmente quando si riesce a entrare in un contatto sincero e confidente con i giovani. A Firenze, ad esempio, sono stato coinvolto nell’organizzazione di un breve ciclo di concerti per gli Amici della Musica, che abbiamo chiamato fff (Fortissimissimo Firenze Festival): gli interpreti erano tutti giovani bravissimi e una classe liceale al completo ha partecipato non solo ai concerti ma anche al backstage con interviste, incontri e recensioni a ogni appuntamento. Una sorpresa per gli stessi ragazzi coinvolti, che in pochi giorni si sono appassionati e sentiti partecipi….

Una ricca esperienza musicale fatta di canto, ascolto e movimento pare che porti vantaggi molto significativi ai bambini anche per l’apprendimento di altre discipline. Secondo la sua esperienza, si differenzia chi ascolta o studia musica da chi non lo fa?
Tutti gli studi scientifici propendono per una definitiva presa d’atto della valenza formativa dell’esperienza musicale, e dei benefici che essa reca sia a livello neurologico sia a livello emotivo e relazionale. Certamente si tratta di un’attività complessa che, mettendo in gioco una serie di fattori cognitivi, psicologici e anche di coordinazione motoria, contribuisce alla crescita dell’individuo e della sua capacità di interazione con la realtà circostante.
Chi fa musica acquisisce solitamente un metodo di lavoro efficace, è abituato a un’attività mnemonica che corrisponde a una gestualità molto specifica, impara presto un tipo di ascolto attento e puntuale, riesce a gestire meglio l’emotività durante le prove d’esame… insomma, credo che sia attrezzato più efficacemente di fronte alle tante sfide della vita.

Conservatori, licei musicali, scuole medie musicali, liceo coreutico-musicale: contrariamente a quanto si dice, nel nostro Paese sembra che la musica classica non sia così assente nel panorama formativo ufficiale, tuttavia più il tempo passa e più ci si lamenta che le istituzioni non fanno nulla per colmare il divario tra musica colta e pubblico. Qual è la sua opinione in merito?
Prendiamo atto intanto che si stanno facendo molti sforzi per migliorare la situazione; direi che in realtà in questo momento stiamo scontando l’assenza della generazione di mezzo, sostanzialmente priva di competenza e interesse verso la musica. Scomparsi i più anziani frequentatori delle sale da concerto, si è avvertita l’assenza di un ricambio generazionale immediato.
Sono tuttavia fiducioso nelle nuove generazioni, che sempre più spesso vedo affacciarsi in teatro e partecipare alla vita musicale con più consapevolezza; inoltre proprio grazie alla proposta didattica di ogni ordine di scuola sono molti di più i bambini e i ragazzi che suonano, e certamente tra di loro c’è già anche un nuovo pubblico. Credo infine che sia giusto da parte di coloro che offrono la musica (autori, interpreti, organizzatori) rinnovarne i modi di fruizione, senza preconcetti e con fantasia. Quando si riesce a farlo, i risultati sono sempre sorprendenti!

Intervista raccolta da Gabriella Gallafrio per l’Unione Musicale