Si può ancora definire altro il suono della musica antica? La serie creata dall’Unione Musicale raggiunge quest’anno la sua ventesima stagione: inaugurata nel gennaio del 1997, ha indubbiamente contribuito a creare, a Torino, uno spazio di rilievo per un repertorio all’epoca negletto, al di fuori delle abitudini dei più, un’epoca in cui la riscoperta della musica pre-classica fioriva da tempo oltralpe ma tardava – oggi e facile aggiungere incomprensibilmente – ad avere successo in Italia. Nel frattempo molta strada e stata fatta, direttori ed ensemble italiani specializzati nel repertorio antico si sono affermati sulla scena internazionale, trovando anche qui un pubblico di adepti e insieme riscuotendo l’attenzione dei frequentatori della musica classica e romantica (e spesso anche degli appassionati di quella contemporanea). Per cui, nonostante e anzi grazie a tutto questo, oggi ha forse ancora senso parlare di altro suono: non servirà più a rimarcare l’appartenenza a un genere alternativo, semmai semplicemente a ricordarci che la “musica classica” non e tutta uguale. Il primo concerto di questa serie a cifra tonda non delude le aspettative.
Il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi e uno dei massimi capolavori del Seicento, una di quelle opere di vaste proporzioni in cui ci si meraviglia della bellezza dei dettagli cosi come dell’insieme. La quiete e l’intimità della preghiera convivono con lo slancio, anche danzante, dei passi esultanti; l’impiego accordale delle voci si alterna sapientemente a passi polifonici e brani solistici, secondo un approccio sostanzialmente teatrale che premia sempre il testo. Il copioso florilegio di invenzioni musicali ha indotto molti a pensare che l’opera sia stata elaborata da Monteverdi, alla ricerca di un nuovo incarico, per far sfoggio di se. Non sappiamo se sia stato davvero così, ma in fondo, oggi, ha poca importanza. (Articolo di Simone Solinas)
{Originale su www.sistemamusica.it }
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