Com’è nato il vostro gruppo? Quali vostre caratteristiche professionali e umane vi hanno spinto a scegliervi per suonare insieme?
«Per tornare alle origini del nostro gruppo dobbiamo fare un passo indietro di 12 anni, ovvero nel settembre del 2007 quando é nato il Quartetto Indaco, a Milano. Al Conservatorio Eleonora e Jamiang, compagni di classe di violino, già da parecchi anni suonavano duetti e sognavano di ingrandire il gruppo con una viola e un violoncello. Poi un giorno è arrivata la folgorazione dopo l’ascolto del quartetto di Debussy, e da lì la decisione è diventata impellente. Trovare le persone giuste con le quali impegnarsi in un progetto laborioso come fare quartetto non è cosa facile… giusto per dare un esempio, nella storia del quartetto Indaco sono stati cambiati 6 violoncellisti! I primi passi come quartetto li abbiamo intrapresi grazie alla Scuola di Musica di Fiesole, luogo che ha giocato un ruolo fondamentale per la formazione di ognuno di noi. Quello è stato il nostro primo banco di prova, dove abbiamo capito perché si dice che il quartetto sia come un matrimonio: con tante ore di studio, di confronti e di convivenza per forza ci si sceglie, come musicisti e come persone, e noi ci siamo scelti, e continuiamo a sceglierci ad ogni prova!»

Perché la scelta di affiancare la musica contemporanea al repertorio classico? Quali sfide implica questo accostamento?
«Al giorno d’oggi più che mai stiamo riflettendo su quanto sia importante per la crescita di ogni individuo essere aperti ed accoglienti verso culture e linguaggi diversi. Capita spesso a noi musicisti così come al pubblico, che il linguaggio della musica contemporanea venga reputato troppo di nicchia e quindi non riesca a venir apprezzato.
Il compositore Helmut Lachenmann dice “quando vado ad un concerto non ho interesse a riascoltare sempre il solito repertorio ma voglio vivere un’avventura. Voglio che la mia persona venga messa alla prova con qualcosa di nuovo”. Noi come quartetto sposiamo questa idea di esperienza all’interno del momento concerto. Un’occasione in cui sia noi che il pubblico possiamo sperimentare nuove emozioni e porci delle sfide sempre diverse e stimolanti.
Parlando di questo, un aspetto a cui teniamo molto è il confronto col pubblico, dando delle linee guida all’ascolto con l’obiettivo di umanizzare quella che spesso viene percepita come musica ineffabile. Dobbiamo dire che ad ora i nostri ascoltatori non ci hanno mai deluso nell’accoglierci in questo nostro intento!»

Avete provenienze, background musicali e culturali diversi…questo come influisce sul vostro approccio alla musica?
«Potremmo dire che in musica ogni diversità diventa preziosa, ed è grazie alla varietà di esperienze e di punti di vista che si costruisce insieme qualcosa di virtuoso, trovando un linguaggio profondamente ricco. Siamo molto diversi tra di noi, sia caratterialmente che per i gusti personali, ma dopo tanti anni di lavoro insieme abbiamo imparato a conoscerci bene e cogliere al meglio i lati positivi di ognuno di noi. Nel nostro prodotto musicale finale inevitabilmente tutto questo confluisce… Quando andiamo a suonare all’estero i commenti che riceviamo sono solitamente legati all’”italianità” del nostro suono, e questo ci fa piacere, due milanesi, una veneziana e un fiorentino vengono subito smascherati!»

Il Ttela Newspaper ha definito la vostra performance uno spettacolo di fuochi d’artificio”: vi riconoscete in questa descrizione?
«Siamo convinti che un ruolo fondamentale lo giochi il contatto con il pubblico e tutto ciò che possa coinvolgere pienamente chi viene ad ascoltare i nostri concerti… quindi quando siamo sul palco cerchiamo sempre di dare il massimo! Quello è il momento che conta di più, dopo mesi di studio e di ricerca durante la performance finalmente possiamo esprimere appieno il frutto del nostro lavoro. La presenza del pubblico solitamente ci galvanizza, i concerti più belli sono quelli nei quali percepiamo che l’energia gira vicendevolmente tra noi e chi ci ascolta, e ci auguriamo che sia sempre così».

La critica ha più volte dimostrato di apprezzarvi: qual è il segreto del vostro successo?
«Il nostro obiettivo principale è sempre stato quello di portare al pubblico quello che noi vorremmo ascoltare, e possibilmente come lo vorremmo ascoltare. Questo può succedere solo a fronte di una grande passione e curiosità, e attraverso un lavoro approfondito sulle composizioni, sia come gruppo che come singoli. C’è da dire che la nostra è una formazione per cui hanno scritto tutti i più grandi autori, ed è una vera gioia addentrarsi nelle loro creazioni e poter offrire al pubblico la nostra interpretazione. Quando siamo sul palco cerchiamo di godere il più possibile di tutte le scoperte che abbiamo fatto durante il nostro studio, e questa è un’energia che chi ci viene ad ascoltare percepisce».

Quali sono i vostri ascolti del momento?
«I nostri ascolti al momento sono molto focalizzati su Beethoven, autore che amiamo ed eseguiamo molto. In vista dell’anno beethoveniano ci siamo dedicati minuziosamente allo studio di alcuni dei suoi quartetti: oltre al concerto per l’Unione Musicale a Torino in cui suoneremo l’op.18 n.6, abbiamo in vista due importanti concerti presso la Accademia Chigiana il 6 e il 7 febbraio, dove eseguiremo 6 dei suoi quartetti. Abbiamo un grande interesse per le incisioni storiche ma troviamo ispirazione anche da quelle più recenti. Siamo molto legati al Quartetto Italiano e alla bellezza delle loro interpretazioni, sempre molto attuale. Eleonora tra l’altro, grazie ad un prestito privato, ha la fortuna di suonare proprio il violino che é appartenuto a Paolo Borciani, il Vuillaume che ha usato per la maggior parte della sua vita!»

Chi non vi conoscesse, perché dovrebbe venire al concerto del 4 febbraio al Teatro Vittoria?
«Difficile spiegare a parole la bellezza del programma che andremo ad eseguire, composto di tre brani che spaziano tra tre epoche e stili diversi… difficile descrivere il nostro forte rapporto con esso… difficile resistere dal dire: non perdetevi questo concerto perché non vediamo l’ora di coinvolgervi in una serata emozionante!»

Intervista raccolta da Laura Brucalassi per l’Unione Musicale