«Ci siamo conosciuti al Conservatorio di Parma nella classe di musica da camera di Pierpaolo Maurizi. È stato proprio lui, quando in occasione di un concerto al Regio formammo il Trio, a spingerci ad andare avanti e a non lasciare che la nostra esperienza di suonare in tre si fermasse lì». La storia del Trio di Parma, nel racconto di Ivan Rabaglia, violinista del gruppo, comincia presto, nelle aule del Conservatorio e diventa una realtà solida nel 1990. Al compimento dei 26 anni, il Trio inizia una serie di concerti con l’integrale dei Trii di Brahms (e qualche sorpresa) a partire dall’appuntamento torinese con le composizioni op. 87, 101 e 114 per il quale si unirà il clarinettista Alessandro Carbonare.
Nel quartetto, che se vogliamo è una riduzione dell’orchestra, c’è un primo violino, dunque una gerarchia. Nel trio chi “comanda”?
«Nel trio non c’è gerarchia e questo dipende dalla partitura, cioè da come i pezzi vengono scritti per questa formazione. Il compositore, cioè, dà a tutti i componenti almeno una volta il ruolo di solista o di guida. L’aspetto solistico è determinante anche perché ci sono strumenti differenti – il pianoforte nel nostro caso, che ha una modalità di scrittura diversa rispetto a quella degli archi – e quindi non c’è né il conflitto come nel duo (uno “contro” uno) né la predominanza di uno strumento come avviene nel quartetto (il primo violino). Diciamo che nel trio c’è più “dubbio”».
A differenza del quartetto, il trio è una formazione molto poco frequentata dai compositori contemporanei. Come mai?
«Il trio è stata la formazione per eccellenza dell’Ottocento, molto utilizzata anche per le trascrizioni. Nel Novecento molti contemporanei si sono cimentati nel quartetto, meno nel trio (Kagel, Zimmermann e pochi altri, che amiamo molto suonare), forse perché è più complesso in quanto presuppone una conoscenza incrociata della scrittura di strumenti molto eterogenei».
Una composizione d’oggi che suonerete in concerto però c’è ed è il Secondo Trio di Cascioli…
«È un pezzo molto bello, formato da undici quadri brevi, uniti senza soluzione di continuità. Il Trio è semplice, intimo, manca di ridondanze e di ricerca dell’effetto e il suono degli strumenti viene curato e rispettato».
I tre Trii di Brahms sembrano contenere quasi tutto quello che c’è da dire sul trio, tanto che l’ultimo arriva quasi a connettersi con l’approccio novecentesco…
«Sono tre capolavori. Il Trio op. 87 è il più classico: rotondo, corretto ed efficace per ogni strumento, con un elemento di rottura rappresentato dal tema ungherese del secondo tempo. L’op. 101 è più breve, asciutta, all’insegna della sintesi e presenta una varietà timbrica maggiore attraverso l’esplorazione delle possibilità strumentali. Così come l’op. 114, che prevede il clarinetto, è un’anticipazione della musica aforistica della Seconda Scuola di Vienna». (Intervista di Federico Capitoni)
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