Come hai vissuto questo periodo di sospensione dell’attività concertistica?
«La sospensione di ogni progetto e la cancellazione di tutti gli eventi musicali in programma ha inciso profondamente sulla quotidianità di noi musicisti. Le prove e i concerti hanno smesso improvvisamente di scandire la nostra quotidianità e il fatto di non sapere se, quando e come potessero riprendere ha condizionato ogni aspetto della nostra attività. Lo studio che ci impegna quotidianamente ha continuato ad impegnarci ma in modo diverso: fino a febbraio preparavamo questo o quel brano in brevi sessioni di studio inserite tra un impegno e l’altro. All’improvviso abbiamo avuto intere giornate a disposizione e nessuna scadenza. Il primo obiettivo, anche come antidoto allo stress che derivava dalle notizie della diffusione dell’epidemia e dalla nuova condizione di isolamento forzato, è stato quello di non perdere l’allenamento. Sì, siamo come degli atleti che se perdono la forma ci mettono un bel po’ per riprenderla. Lo studio, il continuo migliorarsi, è diventato il centro di queste giornate; la musica che solitamente rivolgiamo agli altri altri è diventata solo per noi, gli unici ascoltatori possibili di noi stessi».
Cosa ti è mancato di più della tua attività di musicista?
«Il pubblico! La musica è comunicazione, e non può esserci comunicazione senza ascolto. L’assenza di un destinatario del messaggio musicale è stata la mancanza più grande. Suonare davanti a qualcuno condiziona il modo stesso in cui suoniamo; il musicista agisce e il pubblico reagisce instaurando un dialogo che ha ragione di esistere solo in quel luogo e in quel momento. Un’altra interazione di cui abbiamo sentito la forte mancanza è stata quella tra noi musicisti. Nella musica da camera è evidente quanto tutte le parti siano interconnesse: la voce di ogni strumento dipende dalle altre e suonare insieme significa reagire a tutto ciò che succede intorno. La musica accende la nostra sensibilità ed è proprio dall’unione di sensibilità diverse che nasce la magia dell’arte più estemporanea. Stando lontani tutto questo non è stato possibile, la musica non è stata possibile!»
Quali sono le tue emozioni nel ricominciare a suonare dal vivo in una sala da concerto?
«Non vediamo l’ora di poter tornare in sala, sembra passata una vita dall’ultima volta. Un concerto è un rito: l’attesa, l’ingresso sul palco, gli applausi che rivelano il pubblico nascosto dalle luci, le prime note che rompono il silenzio. Così come un quadro ha bisogno di una cornice adatta, della giusta illuminazione e di uno sguardo attento per essere apprezzato, anche la musica dipende dal suo contesto. Sicuramente ci sembrerà diverso da prima, suoneremo lontani tra noi e dovremo essere ancora più attenti del solito affinché i nostri suoni possano fondersi insieme come in un unico strumento. Ma sarà senza dubbio un’emozione grandissima».
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
«Dopo i mesi appena trascorsi è difficile non cedere alla tentazione di sperare che questa pandemia diventi presto un ricordo lontano. Il realismo e i dati finora in nostro possesso ci impongono di considerarla un pericoloso precedente, che come tale potrebbe ripetersi. È possibile che in futuro saremo di nuovo costretti a interrompere l’attività concertistica ed è quindi indispensabile porci come obbiettivo a medio termine quello di sviluppare la nostra flessibilità professionale ed artistica per affrontare nel migliore dei modi le sfide che il futuro ci riserva».
Intervista raccolta da Laura Brucalassi per l’Unione Musicale