Nelson Nunez, quando ha scelto di diventare musicista professionista? Altrimenti che cosa le sarebbe piaciuto fare?
Ho iniziato gli studi musicali all’età di 14 anni nel mio Paese, il Venezuela, ma all’inizio non è stata una mia scelta; dopo aver finito la scuola elementare, per poter frequentare la scuola superiore nello stesso istituto, era obbligatorio frequentare anche le lezioni di musica; allora il mio unico interesse era quello di prendere il diploma di maturità per studiare medicina e diventare medico; tuttavia, fare il musicista non mi sembrava una cattiva idea. La scelta di suonare l’oboe è stata solo una casualità; ricordo che dovevo scegliere tra diversi strumenti a fiato e l’oboe è stato il primo strumento musicale che ho conosciuto.
Fui l’unico di otto allievi che riuscì a produrre un suono con l’ancia e poi con lo strumento, motivo per cui sono stato scelto dal maestro Serge Smirnoff, diventando così allievo della classe d’oboe della scuola. Dopo aver ottenuto la maturità sono entrato nella scuola di medicina, ma nel frattempo ho avuto la possibilità di frequentare il Conservatorio Simon Bolivar a Caracas, e di seguire lezioni d’oboe del maestro Andres Eloy Medina (primo oboe dell’Orchestra Simon Bolivar); lui mi fece capire che avevo delle possibilità con lo strumento e quindi lasciai medicina per studiare a tempo pieno al Conservatorio.
Lei è nato in Venezuela, un Paese che ha una grande tradizione di didattica musicale. Quanto ha influito sulla sua scelta di diventare un musicista professionista?
Ha influito tantissimo, in modo positivo e formativo, perché si inizia molto presto a imparare e a capire come fare l’insegnante cercando il modo di essere utile agli altri. Col tempo capisci che questa professione non è solo dire «Ripeti, fai così, più forte, più piano», oppure «Forse va meglio in questo modo»; chiunque può insegnare utilizzando dei metodi molto efficaci, ma pochi si rendono conto che ci si impegna tanto per cercare la perfezione nella musica dimenticando che siamo esseri umani che vivono, sentono, godono, soffrono, raccontano e soprattutto che hanno il diritto anche di sbagliare, provando a esprimersi attraverso lo strumento e la musica.
Io ho deciso di continuare con la musica soprattutto per il fatto che tramite essa posso dire tutto ciò che non riesco con le parole, e ho continuato a fare l’insegnante per poter offrire tutto ciò che ho senza mai dimenticare la parte umana di ogni allievo e di ogni musicista.
Infine, ma non meno importante, aggiungo che non ho mai smesso di imparare da quelli che non hanno molta esperienza, perché anche loro hanno qualcosa da insegnarci.
Quali differenze rispetto al vostro “Sistema” riscontra nel nostro Paese?
Una differenza che ho riscontrato in Italia (e in Europa, visto che ho avuto l’opportunità di conoscere diversi progetti musicali che utilizzano come riferimento il “Sistema” venezuelano), è quella di non valorizzare abbastanza la musica perché ancora non è considerata come una vera professione e viene vista spesso solo come un hobby; posso capirlo, perché fare il musicista come professione è difficile, viste le poche offerte di lavoro. Da noi, invece, è prioritario dare la possibilità alle persone di formarsi come dei veri musicisti fin dall’inizio, per poi offrire dopo delle opportunità di lavoro nelle scuole, nelle università, nei conservatori e soprattutto nelle orchestre.
Noto che in Europa sia molto più importante il calcio rispetto alle arti in generale; non ho nulla contro lo sport, ma mi sembra che sia molto sopravvalutato dal punto di vista finanziario in confronto al supporto offerto alla musica e alla salute, ad esempio. Immaginate come cambierebbero le cose se bilanciassimo le arti allo stesso livello dello sport: nessuno avrebbe dubbi sulla possibilità di fare il musicista a tempo pieno dopo aver finito la laurea magistrale, perché avrebbe ottime possibilità di trovare lavoro.
Nei suoi 43 anni di vita, il “Sistema Nacional de Orquestas y Coros de Venezuela” ha lavorato tanto per far capire che la musica è un tipo di linguaggio che deve essere ben curato fin dall’inizio e che non può essere vista come un hobby. Dopo anni di lotta continua e di duro lavoro per cercare di dare un’identità musicale al mio Paese, è stata fondata la prima Università delle Arti, e successivamente sono stati fondati dei grandi conservatori e delle grandi università, per offrire una formazione accademica completa; purtroppo, a causa della cattiva gestione degli ultimi vent’anni di governo, non siamo riusciti a usufruire pienamente della formazione di queste strutture.
Nel mio percorso come musicista, ovvero come membro di un’orchestra e come insegnante d’oboe, mi è risultato chiaro che non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per imparare il linguaggio della musica, ma ai nostri tempi, e soprattutto nelle attuali grandi competizioni, purtroppo, si preferisce dare lavoro ai ragazzi più giovani, capaci di eseguire un brano perfetto ma senza sostanza, piuttosto che a una persona più matura e con più esperienza, che magari sbaglia una nota cercando il modo di “teletrasportarci” in un altro mondo con le sue interpretazioni.
Ho sempre pensato che l’Europa fosse una potenza musicale, ma suggerirei di investire di più sulla musica per garantire un futuro migliore agli artisti che decidono di continuare la loro formazione e di dare il loro supporto all’arte.
A che punto è il suo percorso di formazione? Che cosa desidera per il suo futuro?
Qui in Italia sono all’ultimo anno della Laurea triennale per arricchire e completare la mia formazione musicale. In Venezuela ho dato tutti gli esami relativi all’oboe al Conservatorio Simon Bolivar ma, a causa dei diversi problemi che purtroppo affliggono il mio Paese, non sono riuscito a completare tutte le materie del piano di studi; questo fattore non mi ha impedito di svolgere una carriera da professionista in diverse orchestre venezuelane perché, vista la grande domanda nella ricerca di musicisti professionisti, essere laureato non era un requisito indispensabile. Per me era però fondamentale terminare il programma di studi con lo strumento principale al Conservatorio anche se, nonostante tutto, non ho mai trascurato la mia formazione con l’oboe perché, grazie al grande successo che ha avuto il Sistema Venezuelano nel mondo, ho fatto dei corsi di perfezionamento con grandi maestri europei, venuti dai noi per conoscere il “Sistema” e per partecipare a un interscambio pedagogico-musicale. Il mio desiderio più grande è quello di finire con successo il mio percorso di formazione musicale, per questo motivo mi impegno moltissimo negli studi per poter finalmente laurearmi, partecipare ai concorsi nelle orchestre più importanti e riuscire a portare mia madre qui in Italia, perché nella mia condizione di rifugiato politico non posso più tornare in Venezuela.
In futuro, mi piacerebbe tanto far parte di un’orchestra importante e avere la mia scuola d’oboe per poter insegnare e condividere le mie conoscenze pedagogiche-musicali venezuelane insieme a quelle acquisite qua in Italia; credo sia il minimo da fare per poter ringraziare questo Paese per tutto ciò che mi ha offerto.
Qual è il momento più emozionante che ricorda del suo percorso musicale?
Ho tanti ricordi vissuti, esperienze ed emozioni, e se iniziassi a raccontarli non finirei più; vorrei però condividere con voi un ricordo in particolare, risalente al 22 novembre 2017, giorno di Santa Cecilia. È stato un giorno molto significativo ed emozionante perché ho suonato con l’Orchestra del Conservatorio di Torino: il mio primo concerto sinfonico di alto livello in Italia che mi ha fatto ricordare le esperienze passate come musicista. Suonare di nuovo la Quinta sinfonia di Šostakovič (una delle mie preferite) con una nuova orchestra, nuovi amici, nuovi compagni di fila, nuovi direttori, nuovi insegnanti, e nel giorno del mio compleanno, mi ha fatto rivivere tutte le sensazioni ed emozioni che ho avuto la prima volta che l’ho eseguita. È stato il regalo più bello che abbia mai ricevuto e un momento incredibile.
Intervista raccolta da Gabriella Gallafrio per l’Unione Musicale
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