«La voix humaine è un pezzo meraviglioso e unico, difficile da accostare ad altro: quando lo si esegue nella seconda parte di un concerto, costruire la prima parte è sempre una sfida». Anna Caterina Antonacci racconta con garbo e acume, e la passione che la anima è palpabile.

Come ha scelto i brani del concerto torinese che si apre con Berlioz?
«Da dodici anni sono immersa nella musica francese, ricca e varia, ma soprattutto molto avvincente sul piano intellettuale per i rimandi con la letteratura e tutta la cultura francese dell’Otto e del Novecento. Berlioz è sempre teatrale e La mort d’Ophélie è un pezzo che amo particolarmente per una dimensione di racconto che lo rende vivo e quanto mai toccante; delle Chansons de Bilitis di Debussy mi attrae la modernità, l’atmosfera così rarefatta, sia nella musica sia nei testi di Pierre Louÿs; Poulenc infine, con il ciclo La fraîcheur et le feu, per avere un assaggio della sua arditezza, soprattutto nelle armonie, ma anche nei testi, sempre così strani, un’immaginazione sfrenata, vicina nell’arte ai disegni di Cocteau».

A proposito della Voix humaine di Cocteau – monologo di una donna che nel corso di una telefonata viene abbandonata – c’è qualche interpretazione a cui è particolarmente legata?
«Ingrid Bergman in un film del 1965, The Human Voice, per l’asciuttezza e la modernità dell’interpretazione; la pur bravissima Anna Magnani per me è invece troppo melodrammatica. Il testo è sottile, la protagonista all’inizio non vuole mostrare il suo strazio che lascerà trapelare solo alla fine e Ingrid Bergman è immensa nella freddezza del dire mentre il viso rivela i suoi sentimenti».

Qual è per lei come interprete il momento più emozionante?
«Quando lei, subito prima del culmine melodrammatico del finale, gli rivela di sapere la verità e che lui mente e rivendica come fondamentale che questa separazione avvenga nella sincerità assoluta fra loro. È un momento di estrema intensità che passa un po’ inosservato perché tutto a mezza voce, intimo, più parola che canto. Mi colpisce sempre della Voix humaine come una situazione tutto sommato banale, assuma una statura di epicità per questo dialogo così profondamente vero e denudato e abbia perciò un forte impatto su chi ascolta, come se si toccassero corde che esistono dentro ciascuno di noi». (Articolo di Gaia Varon)

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